Un doppio passo in avanti
di Flavio Felice, Fabio G. Angelini - Pubblicato su Avvenire del 20 settembre 2012 - English Version
Le scorse settimane hanno segnato una svolta per il futuro economico dell’eurozona: lo spread è calato notevolmente e la speculazione sembra aver rallentato la propria morsa letale. Un cambio di passo dovuto certamente a un nuovo corso della politica monetaria europea e alla decisione della Consulta tedesca che, pur ponendo qualche paletto, ha confermato la legittimità del fondo salva-Stati. A questo punto, però, è lecito domandarsi se tutto ciò basterà a rilanciare l’economia europea o se, invece, sia necessario fare qualcosa in più sul fronte più squisitamente politico.
Per non confondere le cause con gli effetti, occorre ribadire che il problema non è lo spread ma la scarsa competitività dei Paesi a rischio come l’Italia e la Spagna e, di conseguenza, l’esigenza di rimettere in linea i loro costi e prezzi in un contesto particolare qual è l’unione monetaria europea. L’intervento della Bce sul fronte dell’acquisto illimitato dei titoli di Stato, finalizzato a scongiurare il possibile blocco di liquidità, rappresenta dunque tutt’altro che la soluzione finale, bensì una condizione necessaria ma non sufficiente a risolvere i nostri problemi.
Le politiche di rigore sui conti pubblici, se non accompagnate da una politica monetaria caratterizzata da una buona dose di pragmatismo e da una seria politica per la competitività, potevano davvero poco sia sul fronte della speculazione che su quello della crescita. Tuttavia, gli attacchi speculativi ai quali siamo stati sottoposti ci hanno costretto ad aprire gli occhi su una serie di problemi che da anni l’Italia si trascina, nella totale indifferenza di una politica che ormai appare agli occhi dei più, irresponsabile e priva di una autentica visione europeista. La disciplina di mercato, pertanto, è bene che continui comunque a rappresentare un monito per i governi e per l’intera classe politica dei Paesi dell’eurozona. Non a caso, l’acquisto dei titoli di Stato annunciato dalle Bce (che, tuttavia, non finanzierà direttamente i deficit dei vari Paesi) sarà si illimitato, ma subordinato a una serie di condizioni sul cui rispetto vigileranno i governi europei. Si tratterà, in altri termini, di un intervento "condizionato" all’adozione di politiche che dovranno permettere il superamento di quei problemi di scarsa competitività e di bassa produttività che abbiamo più volte denunciato sulle colonne di questo giornale e che sono il nostro nemico principale.
In questo mutato contesto, il nuovo corso della politica monetaria europea ha molti meriti e, in particolare, quello di eliminare qualsiasi falso alibi alla politica. Alla disciplina di mercato, infatti, è necessario che si associ quanto prima anche un’armonizzazione tra i bilanci e, in ultima analisi, un’unione tra i popoli. Gran parte delle tensioni finanziarie di questi anni derivano da un’unione monetaria cui non si è accompagnata un’armonizzazione delle politiche fiscali. Per questo, andrebbe ripreso il progetto europeista caro ai padri dell’economia sociale di mercato, che fu del tedesco Adenauer, del francese Schumann e dell’italiano De Gasperi. Tre uomini di confine, tre cattolici che interpretarono le loro rispettive frontiere come portoni spalancati. Fu questo il successo di un’operazione che vide Germania e Italia impegnate in prima linea.
Bisogna essere, nello stesso tempo, ottimisti e realisti perché i problemi di competitività sono tutti lì e non potranno che essere risolti dalla politica europea attraverso la definizione di una nuova governance capace di garantire maggiore integrazione politica e rigore fiscale, e da una politica nazionale che – in continuità con le scelte di fondo del Governo Monti – dovrà promuovere riforme strutturali in grado di garantire il riallineamento dei costi e dei prezzi attraverso maggiore flessibilità, mobilità della manodopera, liberalizzazione di ampi settori dell’economia, politiche incisive sul fronte della concorrenza e una politica industriale adeguata alle sfide della globalizzazione, focalizzata sull’incremento della produttività e della competitività del nostro sistema industriale.
Flavio Felice è presidente del Centro Studi Tocqueville-Acton e Adjunct Fellow American Enterprise Institute di Washington D.C.
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Le scorse settimane hanno segnato una svolta per il futuro economico dell’eurozona: lo spread è calato notevolmente e la speculazione sembra aver rallentato la propria morsa letale. Un cambio di passo dovuto certamente a un nuovo corso della politica monetaria europea e alla decisione della Consulta tedesca che, pur ponendo qualche paletto, ha confermato la legittimità del fondo salva-Stati. A questo punto, però, è lecito domandarsi se tutto ciò basterà a rilanciare l’economia europea o se, invece, sia necessario fare qualcosa in più sul fronte più squisitamente politico.
Per non confondere le cause con gli effetti, occorre ribadire che il problema non è lo spread ma la scarsa competitività dei Paesi a rischio come l’Italia e la Spagna e, di conseguenza, l’esigenza di rimettere in linea i loro costi e prezzi in un contesto particolare qual è l’unione monetaria europea. L’intervento della Bce sul fronte dell’acquisto illimitato dei titoli di Stato, finalizzato a scongiurare il possibile blocco di liquidità, rappresenta dunque tutt’altro che la soluzione finale, bensì una condizione necessaria ma non sufficiente a risolvere i nostri problemi.
Le politiche di rigore sui conti pubblici, se non accompagnate da una politica monetaria caratterizzata da una buona dose di pragmatismo e da una seria politica per la competitività, potevano davvero poco sia sul fronte della speculazione che su quello della crescita. Tuttavia, gli attacchi speculativi ai quali siamo stati sottoposti ci hanno costretto ad aprire gli occhi su una serie di problemi che da anni l’Italia si trascina, nella totale indifferenza di una politica che ormai appare agli occhi dei più, irresponsabile e priva di una autentica visione europeista. La disciplina di mercato, pertanto, è bene che continui comunque a rappresentare un monito per i governi e per l’intera classe politica dei Paesi dell’eurozona. Non a caso, l’acquisto dei titoli di Stato annunciato dalle Bce (che, tuttavia, non finanzierà direttamente i deficit dei vari Paesi) sarà si illimitato, ma subordinato a una serie di condizioni sul cui rispetto vigileranno i governi europei. Si tratterà, in altri termini, di un intervento "condizionato" all’adozione di politiche che dovranno permettere il superamento di quei problemi di scarsa competitività e di bassa produttività che abbiamo più volte denunciato sulle colonne di questo giornale e che sono il nostro nemico principale.
In questo mutato contesto, il nuovo corso della politica monetaria europea ha molti meriti e, in particolare, quello di eliminare qualsiasi falso alibi alla politica. Alla disciplina di mercato, infatti, è necessario che si associ quanto prima anche un’armonizzazione tra i bilanci e, in ultima analisi, un’unione tra i popoli. Gran parte delle tensioni finanziarie di questi anni derivano da un’unione monetaria cui non si è accompagnata un’armonizzazione delle politiche fiscali. Per questo, andrebbe ripreso il progetto europeista caro ai padri dell’economia sociale di mercato, che fu del tedesco Adenauer, del francese Schumann e dell’italiano De Gasperi. Tre uomini di confine, tre cattolici che interpretarono le loro rispettive frontiere come portoni spalancati. Fu questo il successo di un’operazione che vide Germania e Italia impegnate in prima linea.
Bisogna essere, nello stesso tempo, ottimisti e realisti perché i problemi di competitività sono tutti lì e non potranno che essere risolti dalla politica europea attraverso la definizione di una nuova governance capace di garantire maggiore integrazione politica e rigore fiscale, e da una politica nazionale che – in continuità con le scelte di fondo del Governo Monti – dovrà promuovere riforme strutturali in grado di garantire il riallineamento dei costi e dei prezzi attraverso maggiore flessibilità, mobilità della manodopera, liberalizzazione di ampi settori dell’economia, politiche incisive sul fronte della concorrenza e una politica industriale adeguata alle sfide della globalizzazione, focalizzata sull’incremento della produttività e della competitività del nostro sistema industriale.
Flavio Felice è presidente del Centro Studi Tocqueville-Acton e Adjunct Fellow American Enterprise Institute di Washington D.C.
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