La riscossa del GOP?
di Alia K. Nardini
Inizia in questi giorni negli Stati Uniti la campagna elettorale che culminerà nel novembre 2010 con la scelta di 34 nuovi Senatori, 36 Governatori e la possibile rielezione di tutti i Rappresentanti,.
Se durante le ultime elezioni presidenziali il Partito Democratico aveva fatto leva sul malcontento degli americani nei confronti dell’Amministrazione uscente di George W. Bush, quest’anno saranno i Repubblicani a sfruttare il calo di consensi verso Obama – precipitati dall’80% nel periodo pre-elettorale ad un quasi dimezzato, seppur ancora soddisfacente, 48%. Il Grand Old Party intende inoltre sottoscrivere la preoccupazione dei cittadini per il debito pubblico, oramai a livelli altissimi; lo scontento verso una riforma sanitaria costosa e secondo alcuni insufficiente (mentre secondo altri eccessivamente invasiva); ed una politica che troppo spesso pare scusarsi per l’eccezionalismo americano all’estero, a scapito della sicurezza e della difesa dell’interesse nazionale degli USA.
In realtà, per conquistare la maggioranza i Repubblicani devono ottenere 40 seggi aggiuntivi alla Camera e 21 al Senato: un’eventualità che oggi appare alquanto improbabile, considerando che al malcontento – o quantomeno alla rinnovata cautela – nei confronti dei Democratici non corrisponde uno speculare spostamento dell’elettorato verso il Partito Repubblicano. Sembra tuttavia quasi certo che il GOP vada a intaccare la supermajority Democratica al Senato, il che comporterebbe la possibilità di filibustering da parte dell’opposizione, oggi inattuabile. Uno dei temi che certamente influirà in maniera notevole, specialmente a livello governatoriale, è il controverso Climate Change Bill (al quale, peraltro, Obama non ha saputo far seguire un concreto impegno internazionale al summit di Copenhagen, reputato un totale fallimento da parte dell’America di destra, così come di sinistra). Seppur concepito per combattere il surriscaldamento globale, il Climate Change Bill ha di fatto ulteriormente penalizzato la ripresa di economie già deboli come quelle del New Mexico, del New Jersey e della Virginia (questi ultimi due stati già tornati saldamente in mano ai Repubblicani).
La strategia del Grand Old Party prevede nel concreto il ritorno ai capisaldi della grande tradizione conservatrice (l’attacco allo stato federale invasivo e omologante e la ferma opposizione all’aumento delle tasse); e la volontà di tralasciare momentaneamente i temi “caldi” del conservatorismo sociale, primo tra tutti l’opposizione all’aborto, a favore di un maggiore impegno per rilanciare l’economia, combattere la disoccupazione e affrontare il problema del fabbisogno energetico nazionale. Il tutto con il contributo di volti politici giovani, estremamente competenti e disposti alla collaborazione bipartisan con i Democratici più moderati. Sulla carta, un’ottima ricetta per un comeback, un ritorno in grande stile.
Inizia in questi giorni negli Stati Uniti la campagna elettorale che culminerà nel novembre 2010 con la scelta di 34 nuovi Senatori, 36 Governatori e la possibile rielezione di tutti i Rappresentanti,.
Se durante le ultime elezioni presidenziali il Partito Democratico aveva fatto leva sul malcontento degli americani nei confronti dell’Amministrazione uscente di George W. Bush, quest’anno saranno i Repubblicani a sfruttare il calo di consensi verso Obama – precipitati dall’80% nel periodo pre-elettorale ad un quasi dimezzato, seppur ancora soddisfacente, 48%. Il Grand Old Party intende inoltre sottoscrivere la preoccupazione dei cittadini per il debito pubblico, oramai a livelli altissimi; lo scontento verso una riforma sanitaria costosa e secondo alcuni insufficiente (mentre secondo altri eccessivamente invasiva); ed una politica che troppo spesso pare scusarsi per l’eccezionalismo americano all’estero, a scapito della sicurezza e della difesa dell’interesse nazionale degli USA.
In realtà, per conquistare la maggioranza i Repubblicani devono ottenere 40 seggi aggiuntivi alla Camera e 21 al Senato: un’eventualità che oggi appare alquanto improbabile, considerando che al malcontento – o quantomeno alla rinnovata cautela – nei confronti dei Democratici non corrisponde uno speculare spostamento dell’elettorato verso il Partito Repubblicano. Sembra tuttavia quasi certo che il GOP vada a intaccare la supermajority Democratica al Senato, il che comporterebbe la possibilità di filibustering da parte dell’opposizione, oggi inattuabile. Uno dei temi che certamente influirà in maniera notevole, specialmente a livello governatoriale, è il controverso Climate Change Bill (al quale, peraltro, Obama non ha saputo far seguire un concreto impegno internazionale al summit di Copenhagen, reputato un totale fallimento da parte dell’America di destra, così come di sinistra). Seppur concepito per combattere il surriscaldamento globale, il Climate Change Bill ha di fatto ulteriormente penalizzato la ripresa di economie già deboli come quelle del New Mexico, del New Jersey e della Virginia (questi ultimi due stati già tornati saldamente in mano ai Repubblicani).
La strategia del Grand Old Party prevede nel concreto il ritorno ai capisaldi della grande tradizione conservatrice (l’attacco allo stato federale invasivo e omologante e la ferma opposizione all’aumento delle tasse); e la volontà di tralasciare momentaneamente i temi “caldi” del conservatorismo sociale, primo tra tutti l’opposizione all’aborto, a favore di un maggiore impegno per rilanciare l’economia, combattere la disoccupazione e affrontare il problema del fabbisogno energetico nazionale. Il tutto con il contributo di volti politici giovani, estremamente competenti e disposti alla collaborazione bipartisan con i Democratici più moderati. Sulla carta, un’ottima ricetta per un comeback, un ritorno in grande stile.