Sanita': una vera riforma?
di Alia K. Nardini
Crescono le perplessità riguardo al progetto di riforma dell'assistenza sanitaria statunitense caldeggiato da Barack Obama. Il Partito Democratico dovrà lavorare alacremente per confezionare una proposta in grado di ottenere la maggioranza di 60 voti su 100 al Senato.
Nonostante il parere negativo espresso il 28 settembre scorso dalla Commissione Finanze, refrattaria a creare una nuova public option – uno schema a finanziamento federale che provvederebbe alle cure dei meno fortunati in aggiunta alle già esistenti Medicare (che si occupa degli anziani) e a Medicaid (per i cittadini a basso reddito) –, il Congresso non sembra ancora aver risolto il dibattito riguardante l'auspicabilità di tale "opzione pubblica".
Con l'introduzione di una public option difatti i datori di lavoro potrebbero scegliere di non offrire copertura sanitaria continuativa a molti dei propri dipendenti, preferendo pagare le relative multe ma lasciando che sia il governo a provvedere alle cure degli americani piuttosto che adattarsi alle spese di adeguamento che il nuovo sistema prevede.
Aumenta inoltre la già diffusa preoccupazione che, proprio come è stato per Medicare e Medicaid, un piano che a detta di Obama sarà deficit neutral ed economicamente autosufficiente andrà in realtà a pesare sulla spesa federale generando ulteriori sprechi ed inefficienze. Questo andrebbe ad incentivare quelle stesse mancanze che il progetto si propone di correggere, rallentando la precaria ripresa dell'America dopo la recente crisi economica.
In ogni caso la posizione di Obama riguardo alla public option è piuttosto vaga: il Presidente, impegnandosi ad "abbassare i costi, garantire la scelta dei medici e far sì che tutti gli americani possano permettersi un'assistenza sanitaria di qualità", non ha mai chiarito se il suo progetto sia realizzabile attraverso una commistione di pubblico e privato o se in America il sistema federale dovrà impegnarsi a provvedere interamente alle spese per l'assistenza sanitaria dei cittadini.
Ne emerge un quadro alquanto preoccupante: un paese che sembra intenzionato a mantenere un sistema sanitario a due vie (pubblico e privato) dove però il primo seguita ad espandersi ben oltre agli orizzonti entro i quali è concepito, mentre il secondo potrebbe perdere il proprio ruolo preminente senza tuttavia acquisire alcuna funzione di sostegno, tranne che per alcuni picchi di eccellenza accessibili solo ai cittadini più abbienti.
L'obiettivo di Barack Obama si preannuncia difficilissimo: passare alla storia come il Presidente che ha realizzato l'epocale riforma del sistema sanitario americano. In realtà, il rischio è quello di appesantire un meccanismo già inefficiente, costoso e non sempre fruibile per i cittadini con un altro ingranaggio male oliato.
Crescono le perplessità riguardo al progetto di riforma dell'assistenza sanitaria statunitense caldeggiato da Barack Obama. Il Partito Democratico dovrà lavorare alacremente per confezionare una proposta in grado di ottenere la maggioranza di 60 voti su 100 al Senato.
Nonostante il parere negativo espresso il 28 settembre scorso dalla Commissione Finanze, refrattaria a creare una nuova public option – uno schema a finanziamento federale che provvederebbe alle cure dei meno fortunati in aggiunta alle già esistenti Medicare (che si occupa degli anziani) e a Medicaid (per i cittadini a basso reddito) –, il Congresso non sembra ancora aver risolto il dibattito riguardante l'auspicabilità di tale "opzione pubblica".
Con l'introduzione di una public option difatti i datori di lavoro potrebbero scegliere di non offrire copertura sanitaria continuativa a molti dei propri dipendenti, preferendo pagare le relative multe ma lasciando che sia il governo a provvedere alle cure degli americani piuttosto che adattarsi alle spese di adeguamento che il nuovo sistema prevede.
Aumenta inoltre la già diffusa preoccupazione che, proprio come è stato per Medicare e Medicaid, un piano che a detta di Obama sarà deficit neutral ed economicamente autosufficiente andrà in realtà a pesare sulla spesa federale generando ulteriori sprechi ed inefficienze. Questo andrebbe ad incentivare quelle stesse mancanze che il progetto si propone di correggere, rallentando la precaria ripresa dell'America dopo la recente crisi economica.
In ogni caso la posizione di Obama riguardo alla public option è piuttosto vaga: il Presidente, impegnandosi ad "abbassare i costi, garantire la scelta dei medici e far sì che tutti gli americani possano permettersi un'assistenza sanitaria di qualità", non ha mai chiarito se il suo progetto sia realizzabile attraverso una commistione di pubblico e privato o se in America il sistema federale dovrà impegnarsi a provvedere interamente alle spese per l'assistenza sanitaria dei cittadini.
Ne emerge un quadro alquanto preoccupante: un paese che sembra intenzionato a mantenere un sistema sanitario a due vie (pubblico e privato) dove però il primo seguita ad espandersi ben oltre agli orizzonti entro i quali è concepito, mentre il secondo potrebbe perdere il proprio ruolo preminente senza tuttavia acquisire alcuna funzione di sostegno, tranne che per alcuni picchi di eccellenza accessibili solo ai cittadini più abbienti.
L'obiettivo di Barack Obama si preannuncia difficilissimo: passare alla storia come il Presidente che ha realizzato l'epocale riforma del sistema sanitario americano. In realtà, il rischio è quello di appesantire un meccanismo già inefficiente, costoso e non sempre fruibile per i cittadini con un altro ingranaggio male oliato.