Alla faccia degli ambientalisti
di Riccardo Gotti Tedeschi
Uno studio dell'università di Pisa ha recentemente confermato che gli enti locali tengono all'ambiente più dell'esecutivo centrale. A San Benedetto del Tronto sarebbe andato il premio "Comune a 5 stelle". A commento di questo risultato, il buon Pratesi (presidente del WWF) ha dichiarato che vi sarebbe uno "spiccato e perverso individualismo che conduce a un mancato sviluppo comune". E' davvero confortante riscontrare come gli ambientalisti di nome e di fatto non finiscano mai di stupire. Del resto, devono pur giustificare la loro esistenza e la loro vocazione messianica, e pertanto devono lasciare traccia con messaggi più o meno "politicamente corretti", che di questi tempi sono caratterrizzati da un marcato catastrofismo, di cui - indovinate un pò - artefice e causa è l'uomo, nella sua dimensione individuale.
E' singolare che la dimensione individuale sia segnata come fattore scatenante del mancato sviluppo, mentre si lascia credere che in una sfera di aggregazione lo sviluppo possa realizzarsi, quasi a concludere che la collettivizzazione salverebbe l'ambiente (chissa come, poi...brrr..., profumo di "trinariciuti", come diceva il grande Guareschi). Il buon Pratesi dimentica due aspetti fondamentali. Il primo è antropologico. L'uomo è fine, non è mezzo nè causa. In una dimensione giusta, equa, accettabile di convivenza, in cui si voglia lo sviluppo di un ambiente adeguato, l'uomo viene prima di tutto, e la natura è al suo servizio. Uno sviluppo per l'uomo che pone l'uomo al centro. Punto. Secondo: la responsabilità è personale. Solo dalle decisioni individuali nascono i vantaggi o gli svantaggi che siano, ma così come non esiste un'etica collettiva, allo stesso modo non può esistere una responsabilità solidale del genere umano verso l'ambiente. Questa visione ideologico-catastrofica non ha alcuna prova scientifica, si nutre di autoreferenzialità e di tesi portate avanti da decine di anni e mai verificate. Pensiamo alle follie espresse dal Club di Roma negli anni 70', e notiamo che questo collegio di "saggi" non ha azzeccato una sola previsione.
Solo imparando a distinguere fini e mezzi, ed avendo chiari quali siano gli uni e quali gli altri, si può davvero disquisire di sviluppo e proporre idee realizzabili. Con buona pace dei neo-malthusiani, che ancora credono che la chiave per lo sviluppo sia la riduzione delle nascite. Peccato che le madri di ciascuno di questi validi esponenti non abbiano seguito alla lettera questo dettame...
Uno studio dell'università di Pisa ha recentemente confermato che gli enti locali tengono all'ambiente più dell'esecutivo centrale. A San Benedetto del Tronto sarebbe andato il premio "Comune a 5 stelle". A commento di questo risultato, il buon Pratesi (presidente del WWF) ha dichiarato che vi sarebbe uno "spiccato e perverso individualismo che conduce a un mancato sviluppo comune". E' davvero confortante riscontrare come gli ambientalisti di nome e di fatto non finiscano mai di stupire. Del resto, devono pur giustificare la loro esistenza e la loro vocazione messianica, e pertanto devono lasciare traccia con messaggi più o meno "politicamente corretti", che di questi tempi sono caratterrizzati da un marcato catastrofismo, di cui - indovinate un pò - artefice e causa è l'uomo, nella sua dimensione individuale.
E' singolare che la dimensione individuale sia segnata come fattore scatenante del mancato sviluppo, mentre si lascia credere che in una sfera di aggregazione lo sviluppo possa realizzarsi, quasi a concludere che la collettivizzazione salverebbe l'ambiente (chissa come, poi...brrr..., profumo di "trinariciuti", come diceva il grande Guareschi). Il buon Pratesi dimentica due aspetti fondamentali. Il primo è antropologico. L'uomo è fine, non è mezzo nè causa. In una dimensione giusta, equa, accettabile di convivenza, in cui si voglia lo sviluppo di un ambiente adeguato, l'uomo viene prima di tutto, e la natura è al suo servizio. Uno sviluppo per l'uomo che pone l'uomo al centro. Punto. Secondo: la responsabilità è personale. Solo dalle decisioni individuali nascono i vantaggi o gli svantaggi che siano, ma così come non esiste un'etica collettiva, allo stesso modo non può esistere una responsabilità solidale del genere umano verso l'ambiente. Questa visione ideologico-catastrofica non ha alcuna prova scientifica, si nutre di autoreferenzialità e di tesi portate avanti da decine di anni e mai verificate. Pensiamo alle follie espresse dal Club di Roma negli anni 70', e notiamo che questo collegio di "saggi" non ha azzeccato una sola previsione.
Solo imparando a distinguere fini e mezzi, ed avendo chiari quali siano gli uni e quali gli altri, si può davvero disquisire di sviluppo e proporre idee realizzabili. Con buona pace dei neo-malthusiani, che ancora credono che la chiave per lo sviluppo sia la riduzione delle nascite. Peccato che le madri di ciascuno di questi validi esponenti non abbiano seguito alla lettera questo dettame...