Un'amicizia di opere è l'antitesi all'individualismo
di Alberto Quadrio Curzio
L'intervento di Julián Carrón all'Assemblea generale della Compagnia delle Opere porta un titolo, “La tua opera è un bene per tutti”, che già spiega una storia e delinea un programma. Pur nella consapevolezza dell'ispirazione valoriale, collocata nel credo religioso, che marca questo intervento, l'economista politico, quale sono, può leggerlo situandolo dentro un perimetro di concretezza delle opere orientate al bene comune. Così farò anche per spiegare a chi non sia cattolico come nel mondo cattolico vi è un universalismo umanitario che si rivolge a tutte le persone di buona volontà, per far sì che esse trovino nel loro vivere quotidiano un orientamento, ad un tempo ideale e concreto, di valorizzazione personale nelle opere comunitarie.
In questa prospettiva desidero evidenziare due tesi, nell'intervento di Carrón, che interpreto con un certo grado di libertà per commentarlo con la mia metodologia. La prima è che l'impostazione individualista in economia non può essere adeguatamente corretta e finalizzata dalle regole. La reiterata richiesta di regole come antidoto alla crisi è un rimedio insufficiente se il fondamento individualista rimane prevalente.
Qui si incardina a nostro avviso, implicitamente, una critica ai teorici che intendono il mercato come il momento conclusivo del comportamento individualista massimizzante dei soggetti: i consumatori dell'utilità, le imprese del sovrappiù, i lavoratori dei salari, i risparmiatori delle plusvalenze.
Fermo restando che il mercato è indispensabile, bisogna anche rilevare che le imprese che offrono prodotti sono spesso degli operatori portatori di un nome, di un marchio, di un impegno che valorizza la creatività del lavoro e che garantisce qualità ed affidabilità alla quale i consumatori rivolgono la loro preferenza. Ed ancora, in misura crescente, si chiede alle imprese il rispetto di canoni sociali ed ambientali che contribuiscono al buon vivere civile. Il profitto reale (e non quello spurio da sovrappiù) è così pienamente giustificato, anche dai consumatori. Non siamo perciò più nell'individualismo.
La seconda tesi è che i movimenti e le forme associative, quando sono autentiche espressioni di solidarietà, hanno un carattere dinamico e formativo per i partecipanti che li spinge oltre l'individualismo ma non alla ricerca del potere economico, bensì alla costruzione del bene comune nella libertà e nella responsabilità. Citando don Giussani, Carrón dice che si devono conoscere i propri limiti, nei confronti dei quali l'appartenenza a movimenti ben orientati serve a correggere chi vi partecipa educando nei comportamenti dell'agire insieme, attenti al bello, al vero, al giusto. È l'educazione dell'appartenenza che non è chiusura ma apertura agli altri, dialogo basato sull'et-et e non confronto basato sull'aut-aut.
Qui si incardina a nostro avviso l'enfasi sul ruolo della società e dei suoi attori associativi, che rappresentano un pilastro di una vera democrazia. Qui si spiega perché lo stato e più in generale le istituzioni non bastano, in uno con il mercato, a darci una democrazia completa. Noi da tempo sosteniamo, in linea con la dottrina sociale cattolica, che una vera democrazia (rappresentativa, partecipativa, economica) trova l'orizzonte a cui tendere nella complementarietà tra istituzioni, società e mercato e nella applicazione della solidarietà e della sussidiarietà per lo sviluppo. Perché qui vi è molto di più del liberismo libertario delimitato dalle regole che adesso vengono invocate come ricette risolutive dai molti individualisti meritocratici, che hanno massimizzato i loro bonus magari riempiendo i mercati internazionali di titoli tossici.
Nei movimenti sociali cattolici più dinamici vi è invece l'impronta del liberalismo socioeconomico, che richiede il massimo impegno delle persone e che valorizza l'intrapresa dei singoli partecipanti all'attività economica dentro un ambito di socialità che non mortifica i più deboli nel nome di una meritocrazia individualista. Pur chiedendo a tutti il dovere del ben fare che crea sviluppo durevole, secondo le proprie capacità potenziate proprio delle forme associative.
L'intervento di Julián Carrón all'Assemblea generale della Compagnia delle Opere porta un titolo, “La tua opera è un bene per tutti”, che già spiega una storia e delinea un programma. Pur nella consapevolezza dell'ispirazione valoriale, collocata nel credo religioso, che marca questo intervento, l'economista politico, quale sono, può leggerlo situandolo dentro un perimetro di concretezza delle opere orientate al bene comune. Così farò anche per spiegare a chi non sia cattolico come nel mondo cattolico vi è un universalismo umanitario che si rivolge a tutte le persone di buona volontà, per far sì che esse trovino nel loro vivere quotidiano un orientamento, ad un tempo ideale e concreto, di valorizzazione personale nelle opere comunitarie.
In questa prospettiva desidero evidenziare due tesi, nell'intervento di Carrón, che interpreto con un certo grado di libertà per commentarlo con la mia metodologia. La prima è che l'impostazione individualista in economia non può essere adeguatamente corretta e finalizzata dalle regole. La reiterata richiesta di regole come antidoto alla crisi è un rimedio insufficiente se il fondamento individualista rimane prevalente.
Qui si incardina a nostro avviso, implicitamente, una critica ai teorici che intendono il mercato come il momento conclusivo del comportamento individualista massimizzante dei soggetti: i consumatori dell'utilità, le imprese del sovrappiù, i lavoratori dei salari, i risparmiatori delle plusvalenze.
Fermo restando che il mercato è indispensabile, bisogna anche rilevare che le imprese che offrono prodotti sono spesso degli operatori portatori di un nome, di un marchio, di un impegno che valorizza la creatività del lavoro e che garantisce qualità ed affidabilità alla quale i consumatori rivolgono la loro preferenza. Ed ancora, in misura crescente, si chiede alle imprese il rispetto di canoni sociali ed ambientali che contribuiscono al buon vivere civile. Il profitto reale (e non quello spurio da sovrappiù) è così pienamente giustificato, anche dai consumatori. Non siamo perciò più nell'individualismo.
La seconda tesi è che i movimenti e le forme associative, quando sono autentiche espressioni di solidarietà, hanno un carattere dinamico e formativo per i partecipanti che li spinge oltre l'individualismo ma non alla ricerca del potere economico, bensì alla costruzione del bene comune nella libertà e nella responsabilità. Citando don Giussani, Carrón dice che si devono conoscere i propri limiti, nei confronti dei quali l'appartenenza a movimenti ben orientati serve a correggere chi vi partecipa educando nei comportamenti dell'agire insieme, attenti al bello, al vero, al giusto. È l'educazione dell'appartenenza che non è chiusura ma apertura agli altri, dialogo basato sull'et-et e non confronto basato sull'aut-aut.
Qui si incardina a nostro avviso l'enfasi sul ruolo della società e dei suoi attori associativi, che rappresentano un pilastro di una vera democrazia. Qui si spiega perché lo stato e più in generale le istituzioni non bastano, in uno con il mercato, a darci una democrazia completa. Noi da tempo sosteniamo, in linea con la dottrina sociale cattolica, che una vera democrazia (rappresentativa, partecipativa, economica) trova l'orizzonte a cui tendere nella complementarietà tra istituzioni, società e mercato e nella applicazione della solidarietà e della sussidiarietà per lo sviluppo. Perché qui vi è molto di più del liberismo libertario delimitato dalle regole che adesso vengono invocate come ricette risolutive dai molti individualisti meritocratici, che hanno massimizzato i loro bonus magari riempiendo i mercati internazionali di titoli tossici.
Nei movimenti sociali cattolici più dinamici vi è invece l'impronta del liberalismo socioeconomico, che richiede il massimo impegno delle persone e che valorizza l'intrapresa dei singoli partecipanti all'attività economica dentro un ambito di socialità che non mortifica i più deboli nel nome di una meritocrazia individualista. Pur chiedendo a tutti il dovere del ben fare che crea sviluppo durevole, secondo le proprie capacità potenziate proprio delle forme associative.