
Alexis de
Tocqueville
�
Discorso sulla libert� religiosa1
�Dario
Antiseri, Cattolici a difesa del mercato, a cura di F. Felice,
Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 2005
��
Signori,
prego la Camera di
notare che siamo qui di fronte a due questioni diverse: una di fatto ed una di
diritto.
Stando a quanto il
signor guardasigilli ha appena detto sembra che non tutti i protestanti di
Francia siano d�accordo se lagnarsi, e ci� non deve sorprenderci.
Quelli, tra loro, il cui
culto � sovvenzionato, quelli che possono governare la loro chiesa si
ritengono soddisfatti, � semplicissimo; mentre, al contrario, sono quelli che
vogliono sottrarsi a questi governi ecclesiastici per adorare Dio a modo loro
che si lamentano.
�
Koechlin
� Quelli non sono protestanti (moti discordi).
�
De
Tocqueville � Avete capito bene
signor de Gasparin. Sembrerebbe, dunque, che i protestanti francesi siano
divisi su questo punto. Ma che ce ne importa? Deve forse la questione che ci
occupa svuotarsi a causa delle opinioni, degli interessi delle s�tte
protestanti? Non si tratta di una questione che domina tutti i culti, che
interessa tutti i cittadini? Si tratta forse di sapere se questi o quei
protestanti sono soddisfatti della attuale giurisprudenza? No, no: la
questione � pi� alta, essa si libra al di sopra di tutte le religioni. Non �
un problema religioso, � un problema di diritto. Si tratta di sapere se, in
questo paese libero, la prima, la pi� santa, la pi� sacra di tutte le libert�
umane, la libert� religiosa, sia stata dalla Francia cap�ta prima che io abbia
avuto bisogno di nominargliela; se in questo libero paese sar� o meno permesso
di adorare il proprio Dio senza l�autorizzazione del commissario di polizia
(a sinistra: ecco il punto!).
Questo � il problema, e
nessun altro. Tale problema � stato lungamente, eloquentemente sviluppato
davanti alla Camera un anno fa e, vedendo il voto cos� disputato, cos�
combattuto, ottenere una maggioranza decisiva, avevo pensato che il signor
guardasigilli non avrebbe tardato a domandare una risoluzione al Parlamento.
Ma egli non l�ha fatto ed �, invece, ricorso ad un espediente che, oso dire, �
caratteristico dell�abituale temperamento del gabinetto, un espediente che,
come al solito, non ha soddisfatto nessuno. Egli ha lasciato sussistere la
giurisprudenza anteriore; ha lasciato che le autorit� locali dessero inizio,
in virt� di questa giurisprudenza, a dei procedimenti penali; ma non ha
lasciato che questi ultimi giungessero fino ai tribunali. In tal modo egli ha
detto ai partigiani del monopolio di Stato: potete ben vedere che io agisco in
tribunale, e a quelli della libert� ha potuto dire: vedete bene che non faccio
condannare.
Riconosco che, in questo
modo, egli ha smorzato l�irritazione prodottasi in precedenza: in questo modo
un gran numero di persone, che avevano avuto di che lagnarsi, non si sono
lagnate: ma, in fondo, egli non ha fatto nulla che potesse dare alla sacra
libert� di cui ho appena parlato quella legittima soddisfazione che le era
dovuta.
E allora, signori, vi
domando (non voglio assolutamente entrare nei particolari della questione,
voglio solo porvi la questione stessa in due parole, e credo che porla
significhi risolverla); allora, che dice la Carta costituzionale? La Carta
dice che ogni cittadino avr� la libert� religiosa. Che cos�� la libert�
religiosa? � la libert� accordata ad ogni uomo di credere, nel fondo della
propria coscienza, ci� che pi� gli piace? Ma quale governo, signori, avrebbe
il potere di strappare questa libert�? Quale tiranno ha mai avuto la pensata,
non dir� atroce, ma ridicola, di impedire a qualcuno di credere nel Foro
interno? Che � allora la libert� religiosa? Signori, � la libert� di culto; la
libert� religiosa � tutta contenuta nella libert� di culto, nel diritto di
pregare in comune.
Ed ora, che cos�� la
libert� di culto? Esisterebbe se, per esercitare il mio culto, che agli occhi
della mia coscienza � il primo dei miei doveri, fossi costretto ad ottenere
previamente un�autorizzazione? Di grazia, signori, risalite all�indietro,
esaminate nella vostra memoria cosa, in tutti i tempi e in particolare in
questo paese, ha sempre costituito la libert�. Dove trovate l�obbligo di
autorizzazione precedere una libert�? Da nessuna parte. Quando avete creduto
di avere la libert� di stampa? Il giorno in cui � scomparsa l�autorizzazione.
Quando si riconoscer� di avere realmente la libert� di istruzione? Il giorno
in cui si toglier� all�Universit� il diritto di concedere l�autorizzazione.
Anche gli uomini meno favorevoli alla libert� di insegnamento hanno dovuto
riconoscere, in questa Camera e nell�altra, questa verit�: la si �
solennemente riconosciuta in quello stesso rapporto che vi � stato sottoposto
l�anno scorso: Thiers ha riconosciuto che fintanto che la libert� di
insegnamento dipender� da una autorizzazione, essa non esister�.
Diciamo, quindi, col
buon senso di tutti i secoli, con la esperienza di questo stesso paese:
libert� ed autorizzazione pregiudiziale sono parole che fanno a pugni e che
non possono andare insieme.
Ebbene! Ecco a quale
regime � affidata la prima, la pi� inalienabile di tutte le libert�, in questo
paese che nel nome sacro della libert� ha fatto tante rivoluzioni sanguinose:
ecco a che punto si riduce la pi� preziosa di tutte le libert�, la libert�
religiosa.
Signori, lo confesso,
quanto ho detto mi sembra cos� elementare, cos� chiaro, cos� evidente, che,
per comprender come mai il governo, senza alcuna necessit�, abbia
misconosciuto una verit� cos� evidente, non posso impedirmi di pensare che
esso ha creduto di avere un grande interesse a farlo.
E qual � tale interesse?
L�ordine pubblico, si dir�. Ma io non credo che si facesse questione di ordine
pubblico; non lo credo soprattutto quando vedo che non si tratta qui di una di
quelle fantasticherie dello spirito umano che possono ornarsi, a torto o a
ragione, del titolo di religione, ma di un culto riconosciuto dallo stesso
Stato. L�ordine pubblico non era quindi in pericolo. Perch� allora il governo
ha violato una libert� cos� sacra? Ve lo dir� in poche parole, poich� non
voglio toglier tempo ad una solenne discussione che avr� luogo tra breve in
quest�aula. Sono portato a credere che i ripetuti atti di cui parliamo, atti
che rimontano fino a parecchi anni fa, che sono stati in tali anni precedenti
molto pi� numerosi, lo confesso, molto pi� oppressivi di quanto non lo siano
ora; sono portato a credere, dico, che nel momento in cui il governo si �
abbandonato a tali atti non faceva che applicare una idea generale. E qual
era, signori, tale idea generale? L�idea generale, secondo me, era la
seguente: il governo ha visto che, dopo la Rivoluzione di Luglio, per questa
stessa rivoluzione che aveva felicemente tagliato i legami che univano la
Chiesa allo Stato, la religione, per la prima volta, sembrava rialzarsi nel
paese, che le credenze religiose sembravano riprender radice nei cuori; esso
lo ha visto e immediatamente ha voluto mettere a partito questa forza nuova
che si presentava; immediatamente, con un insieme di misure che ci sarebbe
facile ricordare, ma che non ricorder� perch� voglio essere breve, esso si e
sforzato di attirare a s� il cattolicesimo, di metter la mano sul clero di
farne un agente del governo (moti discordi. Agitazione). Eh, signori,
la Camera vedr� subito che, rivangando per un momento questa faccenda cos�
scottante, non cedo a delle miserabili questioni di partito: essa lo vedr�.
Dicevo, dunque, che il governo aveva creduto fosse nel suo interesse
riconciliarsi il clero, fare del clero, lo ripeto, uno strumento del governo.
Dico che gran parte
degli atti di cui ci lamentiamo ora a questa tribuna hanno avuto origine da un
tal pensiero. � cos� che, tanto per non uscire dal caso che ci occupa, il
governo ha voluto mostrare al cattolicesimo di piazzarsi, per cos� dire, tra
lui ed i suoi avversari; che al bisogno sapeva difenderlo contro il
proselitismo; che vegliava per lui, acciocch� il proselitismo stesso non
divenisse formidabile; che sapeva, al bisogno, essere il braccio secolare
della Chiesa. Qual � il risultato di questi e di molti altri atti che non
voglio qui ricordare? Due cose ne sono risultate: tutti gli antichi avversari
del cattolicesimo si sono rianimati, risvegliati, alla vista di questa
parzialit� del potere pubblico. Non solo i protestanti si son sentiti inquieti
e turbati nel vedere questa unione nuova, che sembrava rinascere tra Chiesa e
Stato; ma i liberi pensatori, ma tutti gli uomini sinceri di tutte le
comunioni e di tutte le opinioni, che vogliono la libert� completa, che non la
vogliono solo per se stessi e i loro amici, ma per tutti quanti, tutti questi
uomini si sono preoccupati; una sorda agitazione si � ben presto manifestata
non solo contro il clero, ma contro lo stesso cattolicesimo. D�altra parte,
nello stesso tempo ed in seguito agli stessi fatti, il clero, o piuttosto
alcuni uomini all�interno del clero, si sono imbaldanziti. Gli uomini
intolleranti e ambiziosi del clero, ve ne sono di simili in tutti i corpi,
anche nei corpi pi� onorevoli e pi� santi, hanno creduto fosse giunto il
momento di agire, di far qualcosa di nuovo, di riprender l�offensiva.
Rassicurati da questo segreto appoggio che credevano di trovare nel governo,
si sono lasciati andare a quegli attacchi, a quelle provocazioni, a quelle
violenze deplorevoli di cui siamo stati testimoni e che, per un inevitabile
contraccolpo, hanno a loro volta portato le violente rappresaglie a cui
assistiamo.
Cosa � derivato da tutto
ci�? Ne � derivato, a mio avviso, qualcosa di profondamente deplorevole: ne �
derivato che la grande e sfortunata guerra che si era un tempo avuta tra la
societ� nuova e la religione, questa guerra che sembrava se non altro sospesa,
questa guerra � ripresa da ogni parte con violenza, finch� siamo giunti a
contemplare il triste spettacolo di discordia religiosa che abbiamo oggigiorno
sotto gli occhi. Ne � derivato che abbiamo visto prodursi quelle divisioni
deplorevoli, divisioni funeste e che non dureranno per sempre, spero, tra le
idee religiose e le idee liberali; divisioni che, per mio conto, deploro con
tutta l�anima, che considero come il peggior male che potesse colpire la
societ� del nostro tempo.
Quanto a me, sono
convinto, e tale convinzione non sarebbe meno ferma se dovesse rimanere
isolata, sono profondamente convinto che, in questo paese, in Francia, la
religione non otterr� mai quell�impero sui cuori che le � dovuto; non spinger�
mai le anime all�altezza a cui pu� sollevarle; non sar� mai completamente
grande, se si allontana dalla libert�; e d�altra parte sono profondamente
convinto che, se la libert� si separa in modo definitivo e completo dallo
spirito religioso, le mancher� sempre ci� che con tanta ammirazione le ho
visto avere in altri paesi, le mancher� sempre quell�elemento di moralit�, di
stabilit�, di tranquillit�, di vita che solo la rende grande e feconda (molto
bene!).
Non � questo che sognavo
per il mio paese; ho sempre pensato che, per quanto questa alleanza dello
spirito religioso con lo spirito liberale in Francia non esistesse, per delle
cause al cui esame non voglio ritornare, ho sempre pensato, dico, che questa
unione tanto necessaria tra religione e libert� presto o tardi si sarebbe
fatta l�ho creduta compiuta dopo la Rivoluzione di Luglio, allorch� infine
vidi la religione e lo Stato separarsi in modo completo e assoluto; il prete
chiuso nella sua sfera, lontano dal potere; quando vidi, in s�guito a questa
separazione tanto felice e desiderabile, che le anime pi� elevate si
lanciavano come da sole verso le credenze religiose; quando ho visto da una
parte gli uomini religiosi tendere la mano agli uomini liberali, e dall�altra
questi ultimi tender la mano agli uomini religiosi, ho creduto che questa
unione stesse per farsi e ne ho provato una grande e patriottica gioia; e
quando poi ho visto prodursi delle impressioni contrarie, ne ho provato un
gran dolore per il mio paese. Chi accusare di un male cos� grande? Non posso
fare a meno di dirlo: prima di tutti il governo.
� soprattutto a causa
della condotta tenuta in questi ultimi anni dal governo verso il clero, che
c�pita tutto ci� che sta capitando; � questa condotta ad aver allarmato gli
uni e ad aver dato una cos� imprudente confidenza agli altri. � soprattutto
questa condotta tanto pericolosa nella sua fatalit� ad aver risvegliato da
ogni parte vecchi odi che, nell�interesse della patria, si sarebbero dovuti
seppellire per sempre (molto bene!).
�
(A. De Tocqueville,
Scritti politici, I, a cura di N. Matteucci,
UTET, Torino 1969, pp.
228-233).
�
1
Questo discorso venne pronunciato alla Camera dei deputati il 28 aprile 1845,
in polemica con il Ministro della giustizia e dei culti, Martin du Nord, il
quale sosteneva che l�art. 29 del Codice penale potesse applicarsi anche alle
riunioni religiose e che, pertanto, tali riunioni non potessero aver luogo
senza l�autorizzazione del governo.
�
�
Discorso sul diritto al lavoro1
�
Se
non erro non ci si attende da me che io risponda all�ultima parte del discorso
che avete appena udito. In essa � contenuta l�enunciazione di un sistema
completo e complicato al quale non ho il compito di opporre un altro sistema.
Il
mio fine, in questo momento, � solo quello di discutere l�emendamento in
favore del quale, o, piuttosto, a proposito del quale l�oratore precedente ha
parlato.
Qual
� tale emendamento? Quale la sua portata? Quale la sua tendenza, secondo me
fatale? Ecco ci� che debbo esaminare.
Una
parola, innanzi tutto, sul lavoro della Commissione2.
La
Commissione, come vi ha detto il precedente oratore, ha in realt� fatto due
redazioni, ma in fondo essa non ha avuto e non continua ad avere che un solo
pensiero. Dapprima si era servita di una formula; ma le parole pronunciate a
questa tribuna e altrove e, meglio delle parole, i fatti, le hanno dimostrato
che questa formula esprimeva in modo incompleto e pericoloso il suo pensiero;
essa vi ha rinunciato, non al pensiero, ma alla forma.
Questa formula viene ripresa ed � di fronte ad essa che in questo momento ci
troviamo.
Si
mettono le due redazioni l�una di fronte all�altra; sia. Paragoniamole alla
nuova luce dei fatti.
Con
la sua ultima redazione la Commissione si limita ad imporre alla societ� il
dovere di venire in aiuto, sia col lavoro che col soccorso propriamente detto
e nella misura delle sue risorse, a tutte le miserie; ci� dicendo la
Commissione ha, senza dubbio, voluto imporre allo Stato un dovere pi� esteso,
pi� sacro di quello che esso si era imposto finora; ma non ha voluto fare una
cosa assolutamente nuova: ha voluto accrescere, consacrare, regolarizzare la
carit� pubblica, non ha voluto fare null�altro che della carit� pubblica.
L�emendamento, al contrario, fa una cosa diversa e fa ben di pi�;
l�emendamento, nel senso che le parole che sono state pronunciate e
soprattutto i fatti recenti gli d�nno, l�emendamento che accorda ad ogni uomo
in particolare il diritto generale, assoluto, irresistibile, al lavoro, questo
emendamento porta necessariamente ad una delle seguenti conseguenze: o lo
Stato si assume il compito di dare a tutti i lavoratori che si presenteranno a
lui l�impiego che non hanno, e allora viene a poco a poco trascinato a fare
l�industriale; e dato che esso � l�imprenditore che si incontra ovunque, il
solo che non possa rifiutare il lavoro e quello che di solito impone il
compito minore, esso � invincibilmente condotto a rendersi il principale e,
ben presto, l�unico imprenditore dell�industria. Una volta giunti a questo
punto l�imposta non � pi� il modo per far funzionare la macchina del governo,
ma il grande mezzo per alimentare l�industria. Accumulando, cos�, nelle
proprie mani tutti i capitali dei singoli, lo Stato finisce col divenire
l�unico proprietario di ogni cosa. Ora, questo � comunismo
(sensazione).
Se,
al contrario, lo Stato vuol sfuggire alla fatale necessit� di cui ho parlato,
se vuole dar lavoro a tutti gli operai che si presentano, non pi� da solo e
con le proprie risorse, ma vegliando acch� essi ne trovino presso i privati, �
fatalmente trascinato a tentare quella regolamentazione dell�industria che, se
non erro, adottava nel suo sistema l�onorevole collega che mi ha preceduto.
Esso � obbligato a fare in modo che non vi sia disoccupazione, cosa che lo
porta forzatamente a distribuire i lavoratori in modo che non si facciano
concorrenza, a regolare i salari, a moderare a volte la produzione, a volte ad
accelerarla, in una parola a farla da grande ed unico organizzatore del lavoro
(movimento).
In
conseguenza, per quanto a prima vista la redazione della Commissione e quella
dell�emendamento sembrino toccarsi, esse portano a risultati del tutto
opposti; sono come due strade che, partendo all�inizio dal medesimo punto,
finiscano con l�essere separate da un immenso spazio: l�una porta
all�estensione della carit� pubblica; in fondo all�altra che vedo? Il
socialismo (segni
di approvazione).
Non
nascondiamocelo, non si guadagna nulla ad aggiornare delle discussioni il cui
germe si trova alla base stessa della societ� e che, presto o tardi, in un
modo o nell�altro, apparirebbero alla superficie, sia con parole che con
fatti. Ci� di cui oggi si tratta, ci� che si trova, forse all�insaputa del suo
autore, ma che io ci� nonostante vedo per mio conto, con la stessa chiarezza
del giorno che mi illumina, in fondo all�emendamento dell�onorevole Mathieu, e
il socialismo...
(prolungata sensazione � mormorii a sinistra).
S�,
signori, bisogna che presto o tardi questa questione del socialismo, che tutti
temono e che nessuno, finora, osa trattare, giunga a questa tribuna; bisogna
che l�Assemblea la recida, bisogna che scarichiamo il paese dal peso che il
pensiero del socialismo ha posto, per cos� dire, sul suo petto; bisogna che a
proposito di questo emendamento � ed � soprattutto per questo, lo confesso,
che sono salito a questa tribuna � la questione del socialismo sia recisa;
bisogna che si sappia, bisogna che l�Assemblea nazionale sappia, che tutta
quanta la Francia sappia se la Rivoluzione di Febbraio � stata o no una
rivoluzione socialista
(molto bene!).
Lo
si dice; lo si ripete; quante volte, da dietro le barricate di Giugno non ho
sentito uscire questo grido:
Viva la repubblica
democratica e SOCIALE?
Che
si intende con questa parola? Si tratta di saperlo; si tratta soprattutto che
l�Assemblea nazionale lo dica
(agitazione a sinistra).
L�Assemblea pu� credere che non � mia intenzione esaminare davanti a lei i
differenti sistemi che, tutti, possono essere compresi in questa sola parola:
il socialismo. Voglio solo cercar di riconoscere, in poche parole, quali sono
i tratti caratteristici che si ritrovano in tutti tali sistemi e di vedere se
� questa cosa, che porta tale fisionomia e tali tratti, che la Rivoluzione di
Febbraio ha voluto.
Se
non mi inganno, signori, il primo tratto caratterizzante tutti i sistemi che
portano il nome di socialismo � un appello energico, continuo, smodato, alle
passioni materiali dell�uomo
(segni di approvazione).
�
per questo che gli uni hanno detto �che si trattava di riabilitare la carne�,
che gli altri hanno detto �che bisognava che il lavoro, anche il pi� duro, non
fosse solo utile, ma piacevole�3, che altri ancora hanno detto che
bisognava �che gli uomini fossero retribuiti, non in proporzione ai loro
meriti, ma in proporzione ai loro bisogni�4 e, infine, che l�ultimo
dei socialisti di cui voglio parlare � venuto qui a dirvi che il fine del
sistema socialista, e, secondo lui, il fine della Rivoluzione di Febbraio, era
stato quello di procurare a tutti un
consumo illimitato.
Ho
dunque ragione di dire, signori, che il tratto caratteristico e generale di
tutte le scuole socialiste � un appello energico e continuo alle passioni
materiali dell�uomo.
Ve
ne � un secondo, ed � un attacco, a volte diretto, a volte indiretto, ma
sempre continuo, ai princ�pi stessi della propriet� individuale. Dal primo
socialista5, che cinquant�anni fa diceva che la
propriet� era l�origine
di tutti i mali del mondo,
fino
al socialista che abbiamo ascoltato a questa tribuna6 e che, meno
caritatevole del primo, passando dalla propriet� al proprietario, ci diceva
che la propriet�
era un furto,
tutti i socialisti, tutti, oso dire, attaccano in modo diretto o indiretto la
propriet� (�
vero! �
vero!). Non pretendo dire che tutti l�attacchino nella maniera franca e,
permettetemi di dirlo, un po� brutale, adottata da un nostro collega, ma dico
che tutti, per vie pi� o meno traverse, se non la distruggono, la trasformano,
la diminuiscono, la molestano, la limitano, e ne fanno una cosa diversa dalla
propriet� individuale che conosciamo e che si conosce dall�inizio del mondo
(vivissimi segni
di assenso).
Ed
ecco il terzo ed ultimo tratto, quello che sopra ogni altro caratterizza ai
miei occhi i socialisti di tutti i colori, di tutte le scuole, ed � una
sfiducia profonda per la libert�, per la ragione umana; un profondo disprezzo
per l�individuo preso in se stesso, al suo stato di uomo; ci� che li
caratterizza tutti � un tentativo continuo, vario, incessante, per mutilare,
per raccorciare, per molestare in tutti i modi la libert� umana; � l�idea che
lo Stato non debba soltanto essere il direttore della societ�, ma debba
essere, per cos� dire, il padrone di ogni uomo, che dico! il suo padrone, il
suo precettore, il suo pedagogo
(molto bene!);
che,
per tema di non lasciarlo sbagliare, debba senza cessa porsi al suo fianco,
sopra di lui, attorno a lui, per guidarlo, garantirlo, mantenerlo,
trattenerlo; in una parola, � la confisca, come ho detto or ora, in un grado
pi� o meno grande, della libert� umana
(nuovi segni di
assenso),
a
tal punto che, se dovessi trovare una formula generale per esprimere ci� che
il socialismo mi sembra nel suo insieme, direi che � una nuova forma di
servit� (approvazioni
assai vive).
Signori, vedete che non sono entrato nei particolari dei sistemi; ho dipinto
il socialismo nei suoi tratti principali, sufficienti per farlo riconoscere;
ovunque li vedrete siate sicuri che l� vi � il socialismo, e ovunque vedrete
il socialismo siate sicuri di ritrovare tali tratti.
Ebbene, signori, che � tutto ci�? � forse, come si � preteso tante volte, la
continuazione, il legittimo completamento, il perfezionamento della
Rivoluzione francese? E forse, come si � detto tante volte, il completamento,
lo sviluppo naturale della democrazia? No, signori, non � n� l�uno, n�
l�altro; richiamate alla vostra mente, signori, la Rivoluzione francese;
risalite a questa terribile e gloriosa origine della nostra storia moderna. �
dunque, come pretendeva ieri un oratore, parlando ai sentimenti materiali, ai
bisogni materiali dell�uomo, che la Rivoluzione francese ha fatto grandi cose
che le hanno dato lustro nel mondo? Credete che ci� sia avvenuto parlando di
salario, di benessere, di consumi illimitati, di soddisfazione senza limiti
dei bisogni fisici?
�
Il
cittadino Mathieu (de
la Dr�me) � Non ho detto
nulla di simile.
�
Il
cittadino di Tocqueville �
Credete che sia stato parlando di tali cose che essa ha potuto svegliare, che
essa ha animato, che essa ha messo in piedi, spinto alle frontiere, gettato
tra i pericoli della guerra, messo di fronte alla morte una generazione
intera? No, signori, no; � stato parlando di cose pi� alte e pi� belle, �
stato parlando di amor di patria, di onore della patria; � stato parlando di
virt�, di generosit� di sentimenti disinteressati, di gloria, che essa ha
fatto queste grandi cose; perch�, dopo tutto, signori, siate certi che non vi
� che un segreto per far fare grandi cose agli uomini: ed � di fare appello ai
grandi sentimenti (molto
bene! molto bene!).
E la
propriet�, signori, la propriet�! La Rivoluzione francese ha indubbiamente
fatto una guerra energica, crudele, a un certo numero di proprietari: ma
quanto al principio stesso della propriet� individuale, lo ha sempre
rispettato, onorato; l�ha messo al primo posto nelle sue costituzioni. Nessun
popolo l�ha trattato in modo pi� magnifico; essa lo ha iınpresso sul
frontespizio stesso delle sue leggi.
La
Rivoluzione francese ha fatto di pi�; non solo ha consacrato la propriet�
individuale, ma la ha estesa; ne ha reso partecipe un maggior numero di
cittadini
(esclamazioni contrastanti � � quello che noi domandiamo!).
Ed �
grazie ad essa, signori, che non dobbiamo oggi temere le funeste conseguenze
delle dottrine che i socialisti spandono nel paese, e perfino in quest�aula; �
perch� la Rivoluzione francese ha popolato questa Francia di dieci milioni di
proprietari, che, senza pericolo, si possono lasciare le vostre dottrine
prodursi a questa tribuna, esse indubbiamente possono portar desolazione nella
societ�, ma, grazie alla Rivoluzione francese, non prevarranno contro di essa
e non la distruggeranno
(molto bene!).
E
infine, signori, quanto alla libert�, vi � una cosa che mi colpisce: ed � che
l�antico regime, il quale senza dubbio, in molti punti bisogna riconoscerlo,
era di diversa opinione dai socialisti, aveva tuttavia, in materia politica,
delle idee meno lontane da essi di quanto non si potrebbe credere. In
definitiva, era assai pi� vicino a loro di noi. L�antico regime, infatti,
professava l�opinione secondo la quale l�unica saggezza � nello Stato, i
sudditi sono degli esseri infermi e deboli che bisogna sempre tenere per mano,
per tema che non cadano o non si facciano male; l�opinione che � bene
molestare, contrariare, comprimere senza posa le libert� individuali; che �
necessario regolamentare l�industria, assicurare la bont� dei prodotti,
impedire la libera concorrenza.
Su
questo punto l�antico regime la pensava esattamente come i socialisti di oggi.
E chi la pensava in altro modo? La Rivoluzione francese.
Signori, cosa ha rotto tutte le pastoie che da ogni parte arrestavano il
libero movimento delle persone, dei beni, delle idee? Cosa ha restituito
all�uomo la sua grandezza individuale, la sua vera grandezza, cosa? La
Rivoluzione francese stessa
(approvazioni e rumori).
�
la
Rivoluzione francese che ha abolito tutte queste pastoie, che ha rotto tutte
queste catene che, sotto diverso nome, voi vorreste ristabilire, e non sono
solo i membri di questa Assemblea immortale, l�Assemblea costituente, di
questa Assemblea che ha fondato la libert�, non solo nella Francia, ma nel
mondo; non sono solo i membri di questa illustre Assemblea ad aver respinto
queste dottrine dell�antico regime, ma anche gli uomini eminenti di tutte le
Assemblee che l�hanno segu�ta: � lo stesso rappresentante della sanguinosa
dittatura della Convenzione. Ancora l�altro giorno leggevo le sue parole;
eccole:
�Fuggite, diceva Robespierre, fuggite la man�a antica... � Vedete che non �
nuova (sorrisi)
�
Fuggite la man�a antica di voler troppo governare; lasciate agli individui,
lasciate alle famiglie il diritto di fare liberamente tutto ci� che non nuoce
agli altri; lasciate ai comuni il diritto di regolare da soli i propri affari;
in una parola, rendete alla libert� degli individui tutto ci� che � stato loro
illegittimamente tolto, ci� che non appartiene necessariamente alla pubblica
autorit�7
(sensazione).
E
allora, signori, tutto questo grande movimento della Rivoluzione francese non
avrebbe portato ad altro che a questa societ� che i socialisti ci dipingono
con delizia, a questa societ� regolamentata, compassata, in cui lo Stato si
incarica di tutto, in cui l�individuo non � nulla, in cui la societ� agglomera
in se stessa, riassume in se stessa tutta la forza, tutta la vita, in cui il
fine assegnato all�uomo � unicamente il benessere, questa societ� in cui manca
l�aria! Ove quasi non penetra pi� la luce. Allora! Sarebbe per questa societ�
di api o di castori, per questa societ� pi� da animali sapienti che da uomini
liberi e civili, che si sarebbe fatta la Rivoluzione francese! � per questo
che tanti uomini illustri sarebbero morti sui campi di battaglia o sul
patibolo, che tanto sangue glorioso avrebbe inondato la terra; � per questo
che si sarebbero eccitate tante passioni, che tanti geni, tante virt�
sarebbero apparsi al mondo!
No,
no, lo giuro per quegli uomini che soccombettero per questa grande causa; no,
non � per questo che essi sono morti; � per qualcosa di pi� grande, di pi�
sacro, di pi� degno di loro e dell�umanit�
(molto bene!).
Se
non vi fosse stato da fare che quello, la Rivoluzione sarebbe stata inutile,
l�antico regime perfezionato sarebbe stato sufficiente
(movimento prolungato).
Dicevo or ora che il socialismo pretenderebbe essere lo sviluppo legittimo
della democrazia; non cercher�, io, come hanno cercato di fare parecchi nostri
colleghi, quale sia la vera etimologia della parola democrazia. Non
percorrer�, come si faceva ieri, il giardino delle radici greche per sapere da
dove viene questa parola
(si ride).
Cercher� la democrazia dove l�ho vista, viva, attiva, trionfante, nel solo
paese al mondo ove esiste, ove ha potuto fondare finora, nel mondo moderno,
qualcosa di durevole e di grande, in America
(bisbigli).
L�
vedrete un popolo in cui le condizioni sono pi� uguali di quanto non lo siano
neppure tra noi; in cui l�assetto sociale, i costumi, le leggi, tutto �
democratico; in cui tutto emana dal popolo e vi rientra, e dove, tuttavia,
ogni individuo gode di una indipendenza pi� intera, di una libert� pi� grande
che in alcun altro tempo o in alcuna altra contrada della terra; un paese
essenzialmente democratico, lo ripeto, la sola democrazia che esista
oggigiorno al mondo, le sole repubbliche democratiche che si conoscano nella
storia. E in queste repubbliche cerchereste invano il socialismo. Non solo le
teorie dei socialisti l� non si sono impadronite dello spirito pubblico, ma
hanno giocato un ruolo cos� piccolo nella discussione e negli affari di questa
grande nazione, che non hanno neppure avuto il diritto di dire che le si
temeva.
L�America � oggi il paese al mondo in cui la democrazia si esercita in modo
pi� sovrano, ed � anche quello in cui le dottrine socialiste, che voi
pretendete siano cos� bene in accordo con la democrazia, hanno meno corso, il
paese dell�universo in cui gli uomini che sostengono queste dottrine avrebbero
certamente il minor vantaggio a presentarsi. Per mio conto non vedrei, lo
confesso, un inconveniente tanto grande per coloro che andassero in America;
ma non consiglio loro, nel loro interesse, di farlo
(risa rumorose).
�
Un
membro � Si vendono i loro beni in questo momento!
�
Il
cittadino de Tocqueville �
No, signori, la democrazia e il socialismo non sono solidali l�una con
l�altro. Sono cose non solo differenti, ma contrarie. La democrazia consiste
forse nel creare un governo pi� fastidioso, pi� particolareggiato, pi�
restrittivo di tutti gli altri, con la sola differenza che lo si farebbe
eleggere dal popolo e che esso agirebbe in nome del popolo? Ma che avreste
allora fatto? se non dare alla tirannia un�aria legittima, che essa non aveva,
e assicurarle l�onnipotenza e la forza, che le mancavano. La democrazia
estende la sfera dell�indipendenza individuale, il socialismo la restringe. La
democrazia d� ad ogni uomo tutto il valore possibile, il socialismo fa di ogni
uomo un agente, uno strumento, una cifra. La democrazia e il socialismo non
hanno in comune che una parola, l�uguaglianza; ma state attenti alla
differenza: la democrazia vuole l�uguaglianza nella libert� e il socialismo
vuole l�uguaglianza nella molestia e nella servit�
(molto bene! molto
bene!).
Non
� dunque necessario che la Rivoluzione di Febbraio sia sociale; se non �
necessario, bisogna avere il coraggio di dirlo; se non deve esserlo, bisogna
avere l�energia di proclamarlo a voce alta, come lo faccio io qui. Quando non
si vuole il fine non bisogna volere i mezzi; se non si vuole lo scopo non
bisogna entrare nella via che ad esso porta. Oggi vi si propone di entrarvi.
Non
bisogna seguire la politica che indicava Babeuf8, questo nonno di
tutti i socialisti moderni
(risa di approvazione).
Non
bisogna cadere nella trappola che indicava egli stesso, o piuttosto che
indicava a suo nome il suo storico, il suo amico, il suo allievo, Buonarroti9.
Ascoltate quanto diceva Buonarroti, perch� merita di essere ascoltato, anche
dopo cinquant�anni
�
Un
membro � Qui non vi sono seguaci di Babeuf.
�
Il
cittadino di Tocqueville �
�L�abolizione della propriet� privata e la fondazione della grande comunit�
nazionale erano lo scopo finale dei suoi lavori [di Babeuf]. Tuttavia egli si
sarebbe ben guardato dal farne oggetto di un ordine dopo il suo trionfo; egli
pensava che bisognava condursi in modo da far s� che tutto il popolo
proscrivesse la propriet� privata, come suo bisogno e suo interesse�.
Ed
ecco le principali ricette di cui egli contava servirsi: (� l�autore del suo
panegirico che parla) �Stabilire, per legge, un ordine pubblico in cui i
proprietari, pur mantenendo provvisoriamente i loro beni, non vi trovino pi�
n� abbondanza, n� piacere, n� considerazione; in cui essi, costretti a
spendere la maggior parte delle loro entrate per spese culturali ed imposte,
prostrati sotto il peso dell�imposta progressiva, allontanati dagli affari,
privati di ogni influenza, non formando pi� all�interno dello Stato che una
classe sospetta di stranieri, siano forzati ad emigrare abbandonando i loro
beni, o ridotti a suggellare con la loro adesione lo stabilirsi della comunit�
universale�10 (si
ride).
�
Un
rappresentante � Eccoci a quel punto!
�
Il
cittadino de Tocqueville �
Ecco, signori, il programma di Babeuf; io desidero con tutto il cuore che esso
non sia quello della Repubblica di Febbraio; no, la Repubblica di Febbraio
deve essere democratica, ma non deve essere socialista...
�
Una
voce a sinistra � S�!
(no!
No!
� interruzione).
�
Il
cittadino de Tocqueville �
E se non � socialista, cosa sar�?
�
Un
membro a sinistra � Realista!
�
Il
cittadino de Tocqueville �
(voltandosi da quella parte) Pu� darsi lo diventi, se si lascia fare a voi
(vive
approvazioni),
ma
non lo diventer�.
Se
la Rivoluzione di Febbraio non � socialista, cosa sar�? Essa � forse, come
molti dicono e credono, un puro accidente? Non dovr� essere che un semplice
cambiamento di persone o di leggi? Non lo credo.
Quando, lo scorso gennaio, io dicevo, in seno alla Camera dei deputati, in
presenza della maggioranza di allora, che mormorava su questi banchi, per
motivi diversi, ma esattamente come si mormorava or ora su questi...
(molto bene! molto
bene!)
(L�oratore indica la sinistra).
Io
le dicevo: state in guardia, il vento delle rivoluzioni si � alzato non lo
sentite? Le rivoluzioni si avvicinano, non le vedete? Noi siamo su un vulcano.
Ecco cosa dicevo; il �Moniteur� ne fa fede. E perch� lo dicevo?...
(interruzione a
sinistra).
Avevo la debolezza di spirito di credere che le rivoluzioni si avvicinavano,
perch� questo o quell�uomo erano al potere, perch� questo o quell�incidente
della vita politica agitava un istante il paese? No, signori. Ci� che mi
faceva credere che le rivoluzioni si stavano avvicinando, ci� che, in effetti,
ha prodotto la rivoluzione era questo: mi accorgevo che, derogando
profondamente ai pi� sacri princ�pi che la Rivoluzione francese aveva sparso
nel mondo, il potere, l�influenza, gli onori, la vita, per cos� dire, erano
stati rinserrati nei ristrettissimi limiti di una sola classe, di modo che non
vi era alcun paese al mondo che presentasse un aspetto simile; anche
nell�aristocratica Inghilterra, in questa Inghilterra che allora avevamo cos�
spesso il torto di prendere ad esempio e a modello; nell�aristocratica
Inghilterra il popolo aveva una parte, se non completamente diretta, almeno
considerevole, per quanto indiretta, agli affari; se non votava (e votava
spesso), faceva almeno sentire la sua voce; faceva conoscere la sua volont� ai
governanti; era da essi sentito e li sentiva
Qui,
nulla di simile. Lo ripeto: tutti i diritti, tutto il potere, tutta
l�influenza, tutti gli onori, la vita politica tutta intera, erano racchiusi
nel seno di una classe politica estremamente ristretta, e al di sopra, nulla!
Ebbene! ecco ci� che mi faceva credere che la rivoluzione fosse alle porte.
Vedevo che, nel seno di questa piccola classe privilegiata, succedeva ci� che
alla lunga sempre accade nelle piccole aristocrazie esclusive, succedeva che
la vita pubblica si spegneva, che la corruzione guadagnava terreno ogni
giorno, che l�intrigo prendeva il posto delle virt� pubbliche, che tutto
rimpiccioliva, si deteriorava.
Ci�
per quanto riguarda le classi superiori.
Che
avveniva in quelle inferiori? Pi� in basso di quello che si chiamava allora il
paese legale, il popolo propriamente detto, il popolo che era meno maltrattato
di quanto si dica (bisogna essere giusti soprattutto verso le potenze
decadute), ma al quale si pensava troppo poco; il popolo che viveva, per cos�
dire, al di fuori di ogni movimento ufficiale, si faceva una vita propria:
distaccandosi sempre pi� nello spirito e nel cuore da quelli che si riteneva
lo dovessero guidare, offriva il suo spirito e il suo cuore a quelli che erano
naturalmente in rapporto con lui, e molti di costoro erano questi vani
utopisti di cui ci stiamo occupando, oppure dei pericolosi demagoghi.
�
perch� vedevo queste due classi, l�una piccola, l�altra numerosa, separarsi
poco a poco l�una dall�altra; l�una piena di gelosia, di sfiducia, di collera,
l�altra di noncuranza, e qualche volta di egoismo e di insensibilit�, perch�
vedevo queste due classi marciare isolatamente in direzione opposta, che
dicevo, che avevo il diritto di dire: il vento della rivoluzione si sta
levando, ben presto si avr� la rivoluzione
(molto bene!).
�
per compiere qualcosa di simile a questo che si � fatta la Rivoluzione di
Febbraio? No, signori, non lo credo; come ciascuno di voi, credo il contrario,
voglio il contrario, lo voglio non solo nell�interesse della libert�, ma anche
nell�interesse della sicurezza pubblica.
Non
ho lavorato io, non ho il diritto di dirlo, non ho lavorato alla Rivoluzione
di Febbraio, lo ammetto; ma una volta che questa Rivoluzione si � fatta,
voglio che sia una rivoluzione seria, perch� voglio che sia l�ultima. So che
non vi sono che le rivoluzioni serie che siano capaci di durare; una
rivoluzione che non produce nulla, che � colpita da sterilit� fin dalla
nascita, che non fa nascer nulla dai suoi fianchi, non pu� servire che a una
cosa sola, a far nascere altre rivoluzioni che la seguiranno
(approvazioni).
Voglio dunque che la Rivoluzione di Febbraio abbia un senso, un senso chiaro,
preciso, percettibile, che rifulga all�esterno, che tutti possano vedere.
E
quale � tale senso? Lo indico in due parole: la Rivoluzione di Febbraio deve
essere la vera continuazione, la reale e sincera esecuzione di ci� che la
Rivoluzione francese ha voluto; deve essere la messa in opera di ci� che i
nostri padri non avevano che pensato (vivi
consensi).
�
Il
cittadino Ledru-Rollin
� Domando la parola.
�
Il
cittadino de Tocqueville �
Ecco ci� che la Rivoluzione deve essere, n� pi�, n� meno. La Rivoluzione
francese aveva voluto che non vi fossero pi� classi che non ve ne fossero
nella societ�, essa non aveva mai avuto l�idea di dividere i cittadini, come
voi fate, tra proprietari e proletari. Non troverete queste parole cariche di
odio e di guerra in alcuno dei grandi documenti della Rivoluzione francese. La
Rivoluzione ha voluto che, politicamente, non vi fossero pi� classi; la
Restaurazione, la Monarchia di Luglio hanno voluto il contrario. Noi dobbiamo
volere ci� che hanno voluto i nostri padri.
La
Rivoluzione aveva voluto che le cariche pubbliche fossero uguali, realmente
uguali per tutti i cittadini: ma su questo scoglio si � arenata. Le cariche
pubbliche sono rimaste, in certe parti, ineguali: dobbiamo far s� che esse
siano uguali; anche su questo punto dobbiamo volere ci� che i nostri padri
hanno voluto ed eseguire ci� che essi non hanno potuto eseguire (molto
bene!).
La
Rivoluzione francese, ve l�ho gi� detto, non ha avuto la ridicola pretesa di
creare un potere sociale che facesse direttamente da solo la fortuna, il
benessere, l�agiatezza di ogni cittadino, che sostituisse la assai
contestabile saggezza dei governi alla saggezza pratica ed interessata dei
governati; essa ha creduto che fosse sufficiente per adempiere al suo compito
dare ad ogni cittadino lumi e libert� (molto
bene!).
Essa
ha avuto questa forma, questa nobile, questa orgogliosa fede che non sembra
voi abbiate, che sia sufficiente all�uomo coraggioso ed onesto avere queste
due cose, lumi e libert� per non dover domandare altro a quelli che lo
governano.
Questo � ci� che la Rivoluzione ha voluto; essa non ha avuto n� il tempo, n� i
mezzi per farlo. Noi dobbiamo volerlo e farlo.
Infine, la Rivoluzione francese ha avuto il desiderio, ed � questo desiderio
che l�ha resa non solo sacra, ma santa agli occhi dei popoli, ha avuto il
desiderio di introdurre la carit� nella politica; ha concepito dei doveri
dello Stato verso i poveri, verso i cittadini che soffrono, una idea pi�
estesa, pi� generale, pi� alta di quanto non si fosse avuto prima. � questa
idea che dobbiamo riprendere, non, lo ripeto, mettendo la preveggenza e la
saggezza dello Stato al posto della preveggenza e della saggezza individuali,
ma venendo realmente, efficacemente, coi mezzi che lo Stato possiede, in
soccorso di tutti coloro che soffrono, in soccorso di tutti quelli che,
terminata ogni loro risorsa, sarebbero ridotti alla miseria se lo Stato non
tendesse loro la mano.
Ecco
cosa ha voluto fare la Rivoluzione francese; ecco ci� che dobbiamo fare noi
stessi.
Vi �
socialismo in questo?
�
Una
voce a sinistra � S�! S�! Ve ne �.
�
Il
cittadino de Tocqueville �
No! No! No, non vi � socialismo, vi � carit� cristiana applicata alla
politica; non vi � nulla... (interruzione).
�
Il
cittadino presidente � Voi non vi capite; � chiaro come il giorno; non
siete dello stesso parere; salirete alla tribuna, ma non interrompete.
�
Il
cittadino de Tocqueville �
Non vi � nulla che dia ai lavoratori un diritto sullo Stato, non vi � nulla
che forzi lo Stato a mettersi al posto della previdenza individuale, al posto
dell�economia, dell�onest� individuale; non vi � nulla che autorizzi lo Stato
ad intromettersi nell�industria, ad imporre dei regolamenti, a tiranneggiare
l�individuo per governarlo meglio o, come isolatamente si pretende, per
salvarlo da se stesso; non vi � nulla tranne che del Cristianesimo applicato
alla politica.
S�,
la Rivoluzione di Febbraio deve essere cristiana e democratica; ma non deve
essere socialista. Queste parole riassumono tutto il mio pensiero e termino
pronunciandole
(molto bene! molto bene!).
�
(A.
De Tocqueville,
Scritti politici,
I, cit.,
pp.
281-294).
��
1
Era in discussione la proposta fatta da Mathieu de la Dr�me di emendare il
paragrafo 8 del preambolo della Costituzione, proclamando esplicitamente il
�diritto al lavoro�. Tocqueville pronunci� questo discorso all�Assemblea
costituente il 12 settembre 1848, e l�emendamento venne respinto il 14 con 396
voti contro 187.
2
La Commissione incaricata di stendere la Costituzione, della quale il
Tocqueville era membro.
3
Non � facile identificare gli autori di queste due affermazioni. La prima
esprime un concetto ricorrente in autori come Alphonse Esquiros (1814-1876),
che nel 1840 pubblic�
L��vangile du peuple,
o come
Alphonse Constant (1816-1875), che nel 1841 pubblic�
La Bible de la libert�;
ma il
tema si trova anche in Charles Fourier che, nel
Nouveau monde industriel et
soci�taire
(1829),
distingue le passioni dell�anima e quelle della carne.
La
seconda risale, forse, ancora al Fourier, e alla sua
Th�orie de l�unit�
universelle.
4
Si tratta di un�affermazione delle correnti eredi del Babeuf, le quali agivano
a Parigi verso il 1840, con la quale si contrapponevano al ben noto principio
dei sansimoniani: �A ciascuno secondo le sue capacit�, a ogni capacit� secondo
il suo rendimento�.
5
Forse Fran�ois-No�l Babeuf (cfr. pi� avanti nota 8); ma la tesi era gi� stata
sostenuta per la prima volta dal Morelly nel suo
Code de la nature
(1755).
6
Quasi certamente Pierre-Joseph Proudhon, che popolarizz� questa formula nel
suo Qu�est-ce
que la propriet�?
(1840); ma l�affermazione era gi� stata fatta da Jacques Pierre Brisset de
Warville (1754-1793) in
Sur la propri�t� et sur le vol
(1782).
7
Maximilien Robespierre,
Discours sur la Constitution,
10 maggio 1793, in:
Oeuvres,
IX,
Paris 1958, pp. 501-502.
8
Fran�ois-No�l Babeuf (1760-1797), rivoluzionario francese, direttore del
giornale Le
Tribun du Peuple.
Dopo il
Termidoro si mise a capo del movimento che voleva spingere la rivoluzione sino
a conclusioni comunistiche, ma la �congiura degli eguali� fall�, e il Babeuf
venne condannato a morte.
9
Filippo Buonarroti (1761-1837), rivoluzionario di origine italiana. Collabor�
con Babeuf nell�organizzare la �congiura degli eguali�; dopo tre anni di
carcere, emigr� in Svizzera poi in Belgio ove pubblic� la
Conspiration pour l��galit�
dite de Babeuf;
Bruxelles 1828.
10
Cfr. F. Buonarroti,
Conspiration pour l��galit�
dite de Babeuf,
Bruxelles, 1828 (trad. it., Torino 1946, p. 197), ma la citazione del
Tocqueville non � del tutto testuale.
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