UNA
CRISI SENZA PRECEDENTI
di Ettore
Gotti Tedeschi
È sempre più evidente
che la recessione economica in corso è
dovuta a fenomeni globali e finora sconosciuti, non gestibili con
criteri tradizionali. È una realtà che induce a dubitare della
possibilità di arrivare presto a soluzioni adeguate e lascia invece
immaginare cambiamenti negli equilibri economici mondiali. La crisi
attuale non è infatti paragonabile ad
altre precedenti, ed è talmente globale da mettere in luce
l'insufficienza delle capacità di reazione dei singoli Stati, anche
dei più grandi e potenti.
I fenomeni che hanno
provocato questa recessione sono nuovi, perché si stanno verificando
per la prima volta secondo una dinamica
realmente globale: sono origine e conseguenza di una "inflazione da
costi" di materie prime (soprattutto petrolio) aggravata dalla
svalutazione del dollaro e dovuta alla crescita accelerata della
domanda da parte dei Paesi asiatici, che il mondo occidentale ha
coinvolto nel processo di integrazione delle economie. Dagli inizi
degli anni Novanta, quando davvero si concluse
la guerra fredda, soprattutto Stati Uniti ed Europa hanno
progressivamente favorito lo sviluppo dell'area asiatica
trasferendovi molte produzioni per ridurre i costi e controllare
l'inflazione. Grazie a ciò, l'Asia - e soprattutto
la Cina - è cresciuta troppo e troppo in
fretta, creando una enorme domanda di materie prime su tutti i
mercati e un'enorme liquidità da impiegare, in parte finita a
finanziare il debito statunitense. Operando però con strategie
autonome dal mondo occidentale.
Così nel mondo
occidentale, invece dell'auspicata deflazione, si è prodotta
l'inflazione. Ma non di un tipo conosciuto e che si era abituati a
gestire (dovuta cioè all'espansione
monetaria o agli incrementi salariali superiori alla produttività),
bensì di un genere nuovo, legato ai costi delle materie prime a
livello del mercato globale. Questa particolare inflazione da costi
si sta ora ripercuotendo rapidamente e direttamente su tutti i
prodotti di consumo - dalle automobili ai beni durevoli, ai viaggi -
riducendo il potere di acquisto, facendo
crollare la domanda e, quindi, gli investimenti produttivi, e
compromettendo di conseguenza l'occupazione.
La possibile sorpresa
positiva di questo fenomeno nuovo è che
il crollo dei consumi potrà provocare lo spegnimento della stessa
inflazione da costi di materie prime perché ne ridurrà la domanda
(non si comperano auto, non si viaggia, non si acquista petrolio).
Non è nemmeno da escludere che il prezzo del petrolio possa
ritornare sotto i cento dollari, se solo il
dollaro rivalutasse un poco. La sorpresa negativa potrebbe
invece derivare dalla difficoltà degli Stati Uniti a contenere il
deficit - passato dal 2 al 4 per cento del prodotto interno lordo -
da finanziare aumentando i tassi di
interesse, aumento che si estenderebbe a tutto il mondo
compromettendo il risanamento.
La lezione "politica"
da imparare è che in queste condizioni nessun Paese da solo può
risolvere il problema, perché da solo un Paese può soltanto fare
protezionismo e pagarne le conseguenze. Ma
chi saprebbe e potrebbe risolvere un problema come questo? Se i
problemi sono globali e richiedono
soluzioni globali, sembra necessaria la presenza di autorità capaci
di risolverli. Gli Stati Uniti hanno di fatto
svalutato il dollaro, aggravando la crescita del prezzo del petrolio
e trasferendo in tal modo molti problemi economici in Europa.
Ma in Europa chi potrebbe decidere, se
fosse opportuno, di svalutare l'euro?
Inoltre,
la Cina oggi non è più controllabile, può
essere solo suscettibile di coinvolgimento in un progetto globale
che le faccia accettare da una parte le regole sui mercati (per gli
acquisti delle materie prime), dall'altra le regole commerciali
(ponendo fine al dumping commerciale e facendo propri i requisiti di
qualità dei prodotti); ma che soprattutto la convinca ad accettare
una soluzione di rivalutazione della sua moneta. In gioco c'è la
sopravvivenza del mercato occidentale a cui è ancora legata. Ma chi
può essere l'interlocutore europeo della Cina,
all'occorrenza in accordo con gli Stati Uniti?
Da soli e in
autonomia si può fare ben poco per risolvere i problemi di
recessione. È possibile dare fiducia al mercato regolamentandolo
meglio, garantendo l'applicazione delle regole, restringendo le
operazioni speculative, azioni che per esempio
sta intraprendendo il governatore della Banca d'Italia, Mario
Draghi. Ma ogni altra manovra non può prescindere dalle condizioni
del mercato globale e dall'esigenza di
nuove responsabilità.
La lezione morale è
che anche stavolta all'uomo evoluto del mercato e della tecnologia
sono sfuggiti di mano gli strumenti, perché non ha tenuto conto
della più ampia dimensione culturale e spirituale dell'essere umano
e, quindi, dei suoi più autentici bisogni. Giovanni Paolo
II lo aveva previsto: chissà che la sua
lezione non venga finalmente capita.
(©L'Osservatore
Romano - 30 luglio 2008)
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