Cambiare partendo dalle fondamenta
di Antonio
Campati
Guardando superficialmente i risultati elettorali delle
elezioni politiche, si può tranquillamente dire che sono tre i poli
–centrosinistra, centro, centrodestra – sui quali (pare) si impernierà la
politica italiana nei prossimi anni. Ma il dato non può essere digerito
frettolosamente, occorre un’analisi all’interno di tutte e tre le aree che
hanno catalizzato sulle loro liste il maggior numero di consensi per cercare
di capire se veramente ci stiamo avviando (o ci siamo già dentro) uno
“schema a tre”. Qualcuno, ancor più frettolosamente, considera irrilevante
addirittura un’area (quella di centro) sostenendo che si è giunti, anche nel
nostro Paese, ad un bipartitismo da varie parti invocato. In effetti, la
polarizzazione del voto principalmente (ma non esclusivamente) su due
“partiti” c’è stata, ma è proprio sulle virgolette che occorre soffermarsi.
Il Partito Democratico è nato, a detta dei suoi animatori, per segnare una
discontinuità politica forte e per innovare il quadro politico italiano.
Questa idea l’ha maturata durante una scansione temporale che, a differenza
del Popolo della libertà, non si è ridotta a poco più di un paio di
settimane. E proprio questa differenza pone attualmente il PD nella
condizione di apparire più coeso, più “maturo” rispetto alla sua
“alternativa”. Le profonde diversità non solo personali, ma anche
programmatiche, che si evidenziano al suo interno sono state, spesso, ben
nascoste sia per convenienza politica immanente sia per non imporre delle
brusche frenate ad un processo di aggregazione tutt’ altro che semplice. Il
PD si è presentato alle urne alleato con l’Italia dei Valori che, gia poche
ore dopo il voto, ha ribadito a chiare lettere (forte anche del buon
risultato ottenuto in varie aree del Paese) che l’alleanza resta, ma di
annessione nel partito di Veltroni non se ne deve neppure parlare. Già
questa forte differenziazione potrebbe essere sintomatica di come non sia
possibile riuscire a determinare un cambiamento così importante (passaggio
al bipartitismo) solamente dopo un appuntamento elettorale seppur importante
e partecipato. Il Popolo della libertà, nato repentinamente e non senza
polemiche, appare come un “contenitore” che raccoglie sotto un unico simbolo
tante realtà differenti, a volte anche stridenti. Il compito della dirigenza
di questa lista (dal momento che non la si può chiamare correttamente
partito perché è composta essa stessa da partiti che non sono ancora
sciolti) è arduo e dovrà conciliarsi con le responsabilità di governo e
corrisponde alla necessità, se si vuole andare fino in fondo nella
costruzione di una grande partito di centrodestra, di amalgamare non solo i
“livelli alti” ma (soprattutto) l’elettorato. Ma, senza tanti sofismi, non
si può parlare del futuro del PDL se non ci si sofferma sul forte carisma di
Silvio Berlusconi che ha rafforzato, soprattutto grazie al voto, la sua
leadership e che sostanzialmente ha “creato” senza troppa fatica una lista
(vincente) alla quale hanno aderito pezzi importanti (non tutti) della
coalizione che prima sempre lui stesso guidava. Dal momento che l’ultimo
appuntamento elettorale ha confermato l’ “essenzialità” della presenza del
Cavaliere, chi crede fortemente nel progetto del PDL, per fortificarlo,
dovrebbe creare un’unità forte attorno e all’interno del progetto e favorire
dei meccanismi naturali che possano far emergere senza troppe lacerazioni
–che potrebbero mettere a repentaglio l’unità trovata oggi sotto un unico
simbolo- l’ormai quasi leggendario “successore”. L’Unione di Centro ha
raggiunto una percentuale di consensi che le ha permesso di essere l’unico
partito che ha resistito alla sorprendente concentrazione di voti su due
partiti (o meglio su due piccole coalizioni). Una significativa
rappresentanza almeno alla Camera (non altrettanto tale al Senato per via
della soglia di sbarramento, ma in termini di voti i consensi si attestano
quasi sulla stessa percentuale in entrambi i rami del Parlamento)
rappresenta la richiesta da parte dell’elettorato di una forza politica
“fuori” dai due poli. Adesso l’UDC ha davanti a se una strada impervia, ma
attraversabile, dove non basta solamente il tatticismo che consente di
vivere alla giornata, ma anche la passione nei confronti di un traguardo da
raggiungere, di un obiettivo da centrare nel futuro, anche non immediato.
Una meta insomma da stabilire in fretta e sulla quale convergere le energie
disponibili e potenziali. Al di fuori di ogni considerazione che può
interessare le singole formazioni in campo, le ultime elezioni politiche
hanno confermato una tendenza che si ripete in maniera frequente negli
ultimi anni: un cambiamento in superficie molto repentino (chi avrebbe mai
immaginato la scomparsa di partiti e partitini in un sol colpo?) e
probabilmente precario unito ad un perdurare delle incrostazioni in
profondità sia sulla struttura politica che su quella costituzionale. È
abbastanza evidente (e questo è l’augurio) che queste incrostazioni devono
essere tolte al più presto altrimenti ristrutturiamo (o cerchiamo di farlo)
i piani superiori dimenticandoci delle fondamenta.
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