La preoccupazione prima e fondamentale di Antonio Rosmini, in ambito
politico, è stata quella di stabilire le condizioni in grado di garantire la
dignità e la libertà della persona umana. Ed è in tale prospettiva che, a
suo avviso, risulta cruciale la questione della proprietà.
Contrario all’economicismo socialista, Rosmini ebbe chiarissimo il nesso che
unisce la proprietà alla libertà della persona.
"La proprietà – egli scrive nella "Filosofia del diritto" – esprime
veramente quella stretta unione di una cosa con una persona. […] La
proprietà è il principio di derivazione dei diritti e dei doveri giuridici.
La proprietà costituisce una sfera intorno alla persona, di cui la persona è
il centro: nella quale sfera nessun altro può entrare".
Il rispetto dell’altrui proprietà è il rispetto della persona altrui. La
proprietà privata è uno strumento di difesa della persona dall’invadenza
dello stato. Persona e stato: fallibile la prima, mai perfetto il secondo.
Ed ecco un famoso passo tratto dalla "Filosofia della politica": "Il
perfettismo – cioè quel sistema che crede possibile il perfetto nelle cose
umane, e che sacrifica i beni presenti alla immaginata futura perfezione – è
effetto dell’ignoranza. Egli consiste in un baldanzoso pregiudizio, per
quale si giudica dell’umana natura troppo favorevolmente, se ne giudica
sopra una pura ipotesi, sopra un postulato che non si può concedere, e con
mancanza assoluta di riflessione ai limiti naturali delle cose".
Il perfettismo ignora il gran principio della limitazione delle cose; non si
rende conto che la società non è composta da "angeli confermati in grazia",
quanto piuttosto da "uomini fallibili"; e dimentica che ogni governo "è
composto da persone che, essendo uomini, sono tutte fallibili". Il
perfettista non fa uso della ragione, ne abusa. E intossicati dalla nefasta
idea perfettista sono, innanzi tutto, gli utopisti. "Profeti di smisurata
felicità" i quali, con la promessa del paradiso in terra, si adoperano
alacremente a costruire per i propri simili molto rispettabili inferni.
L’utopia – afferma Rosmini – è "il sepolcro di ogni vero liberalismo" e
"lungi dal felicitare gli uomini, scava l’abisso della miseria; lungi dal
nobilitarli, gli ignobilita al par de’ bruti; lungi dal pacificarli,
introduce la guerra universale, sostituendo il fatto al diritto; lungi
d’eguagliar le ricchezze, le accumula; lungi da temperare il potere de’
governi lo rende assolatissimo; lungi da aprire la concorrenza di tutti a
tutti i beni, distrugge ogni concorrenza; lungi da animare l’industria,
l’agricoltura, le arti, i commerci, ne toglie via tutti gli stimoli,
togliendo la privata volontà o lo spontaneo lavoro; lungi da eccitare
gl’ingegni alle grandi invenzioni e gli animi alle grandi virtù, comprime e
schiaccia ogni slancio dell’anima, rende impossibile ogni nobile tentativo,
ogni magnaminità, ogni eroismo ed anzi la virtù stessa è sbandita, la stessa
fede alla virtù è annullata".
E qui va precisato che, connessa al suo antiperfettismo, c'è la decisa
critica di Rosmini all’arroganza di quel pensiero che celebra i suoi fasti
negli scritti degli Illuministi e che poi scatena gli orrori della
Rivoluzione francese.
La dea Ragione sta a simboleggiare un uomo che presume di sostituirsi a Dio
e di poter creare una società perfetta. Il giudizio che Rosmini dà sulla
presunzione fatale dell’Illuminismo richiama alla mente analoghe
considerazioni, prima di Edmund Burke e successivamente di Friedrich A. von
Hayek.
Antiperfettista, a motivo della naturale "infermità degli uomini", Rosmini
si affretta, sempre nella "Filosofia politica", a far presente che gli
strali critici da lui puntati contro il perfettismo "non sono volti a negare
la perfettibilità dell’uomo e della società. Che l’uomo sia continuamente
perfettibile fin che dimora nella presente vita, egli è un vero prezioso, è
un dogma del cristianesimo".
L’antiperfettismo di Rosmini implica, dunque, un impegno maggiore. Da qui
viene, tra l’altro, la sua attenzione a quella che egli chiama "lunga,
pubblica, libera discussione", poiché è da siffatta amichevole ostilità che
gli uomini possono tirare fuori il meglio di sé ed eliminare gli errori dei
propri progetti e idee.
Leggiamo ancora nella "Filosofia del diritto": "Gli individui di cui un
popolo è composto non si possono intendere, se non parlano molto tra loro;
se non contrastano insieme con calore; se gli errori non escono dalle menti
e, manifestati appieno, sotto tutte le forme combattuti".
Antistatalista e dunque difensore dei "corpi intermedi", alfiere dei diritti
di libertà, Rosmini è stato attentissimo alle sofferenze e ai problemi dei
bisognosi, dei più svantaggiati.
Ma la doverosa solidarietà cristiana non gli fa chiudere gli occhi sui danni
dell’assistenzialismo statale.
"La beneficenza governativa – egli afferma – ha un ufficio pieno in vista
delle più gravi difficoltà, e può riuscire, anziché di vantaggio, di gran
danno, non solo alla nazione, ma alla stessa classe indigente che si
pretende di beneficiare; nel qual caso, invece di beneficenza, è crudeltà.
Ben sovente è crudeltà anche perché dissecca le fonti della beneficenza
privata, ricusando i cittadini di sovvenir gl’indigenti che già sa o crede
provveduti dal governo, mentre nol sono, nol possono essere a pieno".
Sin qui, dunque, alcune posizioni di Antonio Rosmini teorico della politica.
Di esse non è difficile comprendere l’estrema rilevanza e l’impressionante
attualità.
E insieme l’incalcolabile danno – non solo per la cultura cattolica –
provocato dalla lunga emarginazione di questo sacerdote filosofo.
[english
version]
Rosmini, the Anti-totalitarian
by Dario Antiseri
Antonio Rosmini's first and fundamental concern in the political arena was
that of establishing the conditions needed to guarantee the dignity and
freedom of the human person. And it is in this perspective that, in his view,
the question of property becomes crucial.
In opposition to socialist economic theory, Rosmini clearly maintains the
connection between private property and individual freedom.
"Property – he writes in his 'Filosofia del diritto [Philosophy of Law]' –
truly expresses the close union between a thing and a person. [...] Property
is the originating principle of legal rights and duties. Property
constitutes a sphere around the person, of which that person is the center:
no one else may enter within this sphere."
Respect for another's property is respect for that other person. Private
property is a means for the person to defend himself from encroachment on
the part of the state.
Person and state: the former is fallible, the latter, never perfect. And
here is a famous passage taken from the "Philosophy of Politics": "Perfectionism
– meaning the system that believes it is possible to achieve perfection in
human affairs, and sacrifices present goods for imagined future perfection –
is a result of ignorance. It consists of an arrogant prejudice that judges
human nature too favorably, basing itself upon pure conjecture, upon a
postulate that cannot be granted, and with an absolute lack of reflection
upon natural limitations."
Perfectionism ignores the great principle of the limitations of things; it
does not consider that society is not composed of "angels confirmed in grace,"
but rather of "fallible men"; and it forgets that every government "is made
up of persons who, being men, are all fallible."
The perfectionist neither uses nor abuses reason. And those who are most
intoxicated by the malignant idea of perfectionism are the utopians. These "prophets
of boundless happiness," with the promise of an earthly paradise,
work busily to build quite serviceable hells for their fellow men.
Utopia, Rosmini asserts, is "the tomb of all true liberalism" and "far from
making men happy, it digs an abyss of misery; far from ennobling them, it
renders them as ignoble as beasts; far from pacifying them, it introduces
universal war, substituting power for law; far from distributing wealth, it
concentrates it; far from moderating the power of the government, it makes
this absolute; far from opening competition to all in all areas, it destroys
all competition; far from expanding industry, agriculture, art, and commerce,
it deprives them of any incentives, blocking private initiative and
spontaneous activity; far from spurring minds to great invention and hearts
to great virtue, it smothers and crushes any vitality of the soul, rendering
impossible any noble effort, any magnanimity, any heroism; virtue itself is
prohibited, and even faith in virtue is destroyed."
And here it must be specified that connected with Rosmini's
anti-perfectionism is his staunch criticism of the arrogance of that strain
of thought that celebrated its own triumphs in the writings of the
Enlightenment, and then unleashed the horrors of the French Revolution.
The goddess Reason was taken as symbolizing man's presumption that he could
take the place of God and create a perfect society. The judgment that
Rosmini levels against the fatal presumption of the Enlightenment calls to
mind similar assessments, those of Edmund Burke first of all, and then those
of Friedrich A. von Hayek.
An anti-perfectionist on account of the natural "infirmity of men," Rosmini
is quick, again in his "Political Philosophy," to point out that the
critical barbs that he aims against perfectionism "are not intended to deny
the perfectibility of man and society. That man can continually become more
perfect as long as he lives is a precious reality; it is a dogma of
Christianity."
Rosmini's anti-perfectionism thus implies an even greater effort. From this
arises, among other things, his attention to what he calls "long, public,
free discussion," because it is from this kind of friendly hostility that
men can draw out the best from themselves and eliminate the errors of their
own projects and ideas.
We read further in the "Philosophy of Law": "The individuals who comprise a
people cannot understand each other if they do not speak a great deal among
themselves; if they do not confront each other vigorously; if errors are not
drawn forth from minds and, once fully revealed, combated in all their forms."
As an anti-statist, and therefore a defender of "intermediate bodies," and
as a champion of freedom, Rosmini was very attentive to the sufferings and
problems of the needy and the most disadvantaged.
But the duty of Christian solidarity did not make turn a blind eye to the
harms of state-run assistance programs.
"Government beneficence – he asserts – is in great demand in view of the
most serious difficulties, and instead of good it can produce great harm,
not only to the nation, but also to the same poor class that it is
pretending to help; in that case, instead of beneficence, it is cruelty.
Very often it is also cruel because it dries up private sources of charity,
discouraging citizens from helping the poor, who are thought to be receiving
help from the government, while instead they are not and cannot except to
the slightest extent."
So these are a few of Antonio Rosmini's positions, as a political theorist.
It is not difficult to understand their extreme relevance and their
astonishing timeliness.
And, together with this, the incalculable harm – not only to Catholic
culture - caused by the long marginalization of this priest-philosopher.