LA SFIDA DELLA SEMPLIFICAZIONE

(una versione ridotta del presente articolo è apparsa su Liberal del 17 giugno 2008 con il titolo “Ma il vero Calderoli non è Brunetta?”)

 di Fabio G. Angelini e Flavio Felice

Uno dei sintomi più evidenti del rapporto patologico tra stato e società civile è l’eccessivo e spesso ingiustificato numero di leggi, regolamenti, procedure e adempimenti burocratici previsti dall’ordinamento al fine di controllare e di indirizzare la vita economica e sociale del Paese. Da questo punto di vista, l’Italia è senza dubbio un caso di scuola.

In tempi di “paure e di speranze”, la semplificazione e la deregolamentazione potrebbero essere i temi centrali della prossima agenda di governo. Immaginare la ripresa dell’economia italiana ed europea senza aver preliminarmente affrontato e risolto il tema dei “fallimenti della regolazione” risulta illusorio, considerato che quel groviglio normativo e burocratico in cui le imprese nazionali ed europee si trovano ad operare e a competere sui mercati internazionali rappresenta uno svantaggio competitivo di non poco conto. 

Intervenuto per prevenire i cosiddetti fallimenti del mercato, lo stato ha a sua volta fallito per le stesse ragioni: ignoranza e fallibilità, dunque, per elementi di ordine epistemologico, come gli economisti austriaci ci hanno insegnato. Il problema è di capire quali caratteri debbano possedere le leggi per permetterci di vivere liberi. Abbiamo bisogno innanzitutto di regole e non di semplici norme ed è necessario che tali regole siano certe, tali da consentire ai cittadini di agire responsabilmente, sulla base della realistica previsione di parte delle conseguenze dei loro comportamenti.

In un ordinamento giuridico come il nostro, l’ipertrofia normativa determina, da un lato, incoerenza logica e sistematica, dall’altro, problemi interpretativi e applicativi. Si pensi al sistema economico ed in particolare al settore degli investimenti. Un ordinamento privo del carattere della certezza disincentiva gli investimenti degli operatori sia interni sia stranieri. È il nuovo “ordine del mercato” che richiede regole di massima semplicità e di elevata razionalità: in questo senso, il mercato ha bisogno di regole non per essere orientato, ma affinché il “principio di libera concorrenza” orienti le scelte degli operatori economici. Inoltre, sotto il profilo comportamentale, la semplificazione, la qualità delle regolazioni, la certezza del diritto possono contribuire a rafforzare l’eticità dei singoli che compongono il sistema Paese.

L’istituzione del Ministero delegificazione e la proposta di legge per la semplificazione e la qualità della regolazione presentata dal PD durante la campagna elettorale rappresentano importanti segnali di attenzione delle principali forze politiche che vanno valutati positivamente e che lasciano ben sperare.

Quanto all’istituzione di un ministero ad hoc per la semplificazione, avremmo preferito l’accorpamento con il Ministero della funzione pubblica e dell’innovazione tecnologica. Quanto alle proposte avanzate dall’opposizione in campagna elettorale, muoviamo due critiche. Non ci convince né la pretesa di affrontare il problema fissando a monte un numero massimo di leggi né l’attribuzione al Governo del potere di intervenire in sostituzione delle Regioni qualora queste non adempiano agli obblighi di semplificazione imposti dal decreto. Una procedura dal sapore centralista e “monopolista”.

Il tema della qualità della regolazione e della semplificazione si innesta nella problematica della globalizzazione e del federalismo istituzionale e, di conseguenza, deve essere affrontato all’interno del nuovo scenario della multilevel governance. La proposta dell’opposizione avrebbe il difetto di rispondere al problema con una logica di puro government; ossia, la forma classica di gestione statale basata su una gerarchia istituzionale e sull’utilizzo dello strumentario autoritativo, con buona pace del principio “cooperativo” e di sussidiarietà. Da questo punto di vista, qualsiasi soluzione si vorrà adottare in futuro, bisognerà tener ben presente l’opportunità dell’evoluzione in senso federale del Paese e valorizzare al massimo quel principio cardine su cui dovrebbe basarsi qualsiasi opera di riassetto dei pubblici poteri, ossia, il principio di sussidiarietà, nella sua declinazione verticale ed orizzontale.

È auspicabile che il Governo Berlusconi e la maggioranza parlamentare che lo sostiene riflettano sull’opportunità di far proprie le proposte avanzate dall’opposizione in tema di analisi della regolazione e di valutazione di impatto della regolamentazione, inserendole, tuttavia, all’interno di una più ampia azione di “intervento conforme” ad una libera economia di mercato, non solo di natura legislativa, ma capace, in primo luogo, di responsabilizzare tutti i livelli di governo; in secondo luogo, di valorizzare e di rendere efficienti gli strumenti di cooperazione istituzionale esistenti; ed infine, di avviare un radicale ripensamento del ruolo dello stato, ancor oggi tendenzialmente “monopolista”, in un sistema che, seppur con grandi difficoltà, ambisce a divenire compiutamente “cooperativo” e federale: è questa la cifra “sociale” dell’economia di mercato.



 


                                                              

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