Zahir Shah: il re che guardava ad Occidente di Angelo Costa
Nella collana Adelphiana, della casa editrice Adelphi, nel 2001 sono state pubblicate alcune pagine di diario di Cyrus L. Sulzberger, un bravo giornalista, per moltissimi anni inviato di punta del New York Times: il giornalista che viaggiava per il mondo e che ci ha lasciato pagine di storia scritte con la semplicità e la linearità dei bravi narratori, il giornalista che ci ha raccontato degli incontri con Franco, Eisenhower, De Gaulle, Tito e tanti altri. Ebbene, in queste pagine di diario adelphiane si parla di un viaggio in Afghanistan: bella quella che porta la data 15 aprile 1950 (Kabul) in cui Sulzberger offre un ottimo ritratto del re Mohammad Zahir Shah, frutto di un colloquio avuto quello stesso giorno: “un uomo alto e malinconico sui trentacinque anni”, che parlava “un francese passabile, anche se meno buono di quanto ci si aspetterebbe, dato che ha studiato in Francia. (...) Mohammad indossava un doppiopetto blu e una camicia a righe (...) Per essere un autocrate si è mostrato piuttosto sciolto e informale. È scuro di pelle, magro, e torvo; porta i baffi, è calvo, e ha tutto storto: lineamenti, naso, sorriso. (...) Ha una voce carezzevole. Durante il colloquio ha fumato con parsimonia. (...) Il sovrano mi ha detto che all’Afghanistan servono assistenza, capitali ed esperti delle nazioni amiche ma che, tuttavia, egli non ha intenzione di accordare concessioni ai privati. La soluzione che lui vede sono imprese a capitale misto, con controllo afghano. (...) Il re ha definito «normali» le relazioni con l’Unione Sovietica, e sostiene che il comunismo si è fermato ai confini dell’Afghanistan (...). Personalmente, intende guidare l’Afghanistan sul sentiero della democrazia, ma per evitare disordini si propone di farlo «a piccoli passi». (...) Mohammad Zahir Shah sostiene che la pace è un imperativo per l’Afghanistan, «perché per risanare l’economia molto arretrata che abbiamo ricevuto in eredità ci servono tempo e calma. L’Afghanistan ha un legame irrinunciabile con l’Islam, ma ne ha di altrettanto forti con l’Occidente. In caso di una nuova guerra nessun paese rimarrebbe neutrale, e l’Afghanistan si schiererebbe senz’altro con l’Occidente. Abbiamo parlato di Parigi, la città dove il re ha studiato e che ama molto. Quando ho espresso la mia ammirazione per i levrieri afghani, i magnifici cani locali, me ne ha promesso uno. Che diavolo me ne farò!” E’ senz’altro un ritratto schietto e diretto di un re d’oriente che intravedeva la luce delle democrazie occidentali come unica soluzione per uno sviluppo concreto e duraturo del suo Paese, un uomo dalla antica tradizione familiare (la sua dinastia era al potere dal 1761 col capostipite leggendario Ahmad Shah Durrani) che cercò di improntare tutta la sua lunga reggenza al difficile ma proficuo dialogo tra l’innovazione e la tradizione: Mohammad Zahir Shah salì al trono dell`Afghanistan nel 1933, quando aveva appena 19 anni. Nel 1973 fu rovesciato da un colpo di stato da suo cognato Mohammed Daud Khan. Zahir Shah è morto a Kabul all'età di 92 anni il 23 luglio: di lui resta, tra le altre cose, anche il legame con l’Italia, poichè dopo il colpo di stato militare avvenuto mentre si trovava in Italia per motivi di salute, rimase trent'anni in esilio a Roma e tornò in patria solo nel 2002, poco dopo la caduta del regime dei talebani: al suo rientro la sua gente gli ha conferito il titolo di ‘Padre della Nazione’. Il leader dell'opposizione Golbudin Hekmatyar, prima del ritorno del sovrano dall’esilio italiano ha dichiarato: “Se Zahir Shah vuole ritornare, dovrà oscurarsi gli occhi”, nel senso che sarebbe stato ucciso. Ma il vecchio monarca prese queste minacce con filosofia: “Alla mia età non può succedermi nulla - ha detto - il mio obiettivo è quello di vedere un Afghanistan felice”. Arfrasiab Khattak, attivista per i diritti umani e commentatore politico, qualche anno fa, prima del rientro di Zahir Shah in patria disse che egli: “sarebbe [stato] la salvezza per l`Afghanistan per una serie di ragioni. Il suo unico punto debole [era] l`età. (...) Prima di tutto, [avrebbe] rappresentato la continuità dello Stato afghano. Poi, [era] un Durrani (una potente tribù dell`etnia pashtun, quella maggioritaria nel sud dell`Afghanistan e dalla quale provengono tutti i dirigenti dei Taliban). [Era] un pashtun e [sarebbe stato] accettato da molti dei capi tribù che in questi anni hanno sostenuto i Taliban, per ragioni che hanno a che fare più con la comune identità etnica che con la politica.” Nella sua figura c’era la sintesi di un Paese complesso e difficile. Degli anni in cui fu al potere, certamente il 1964 merita di essere ricordato: il re, in quell’anno, concesse una nuova costituzione agli afghani e trasformò il Paese in una moderna democrazia con libere elezioni, un parlamento, diritti civili, emancipazione per le donne (sostenne con tutte le sue forze la fine del 'purdah', l'obbligo del velo per le donne) e suffragio universale. Un moderato, liberale e filo-occidentale, che non venne però mai meno al rispetto delle tradizioni ed al rispetto verso le molte etnie del suo Paese, anche negli anni duri in cui dovette fronteggiare l'opposizione dei radicali religiosi e secolari. Un sovrano illuminato che se fosse restato al potere forse la storia del mondo avrebbe avuto un altro corso.
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