Riscoprire Aristotele di Matteo Dellanoce
Plotino e Sant’Agostino sostenevano che la battaglia fosse tra l’essere come presenza e l’essere come assenza. Oggi, dopo molti secoli, la battaglia non è cambiata. In una realtà che si contraddistingue per la presenza nell’assenza e la vicinanza nella lontananza, la separazione di spazio da luogo favorisce rapporti fra “persone assenti” (Giddens). “La vicinanza geografica e quella sociale si staccano l’una dall’altra”, per cui “non è più necessario vivere in uno stesso luogo per vivere assieme e vivere nello stesso luogo non significa affatto vivere assieme” Nell’era mediatica l’evento non richiede più la
presenza fisica, non richiede più l’hic et nunc, ma permette una
partecipazione senza azione una “vicinanza despazializzata” (Thompson).
Comodo dalla poltrona di casa sua, oppure sulla sedia del proprio ufficio,
in qualsiasi luogo si trovi e qualsiasi attività svolga, l’individuo è
co-presente, sentendosi compartecipe dell’accadimento. L’impietosimento a
distanza suscitato dalle immagini trasmesse in diretta e poi replicato ad
hoc in differita, il messaggio telefonico che appiana i problemi di
coscienza con una profferta di solidarietà virtuale, sono due fra i
numerosi possibili esempi dell’attuale coniugazione di emozione senza
azione. Come il fantascientifico teletrasporto dematerializza
il capitano Kirk dall’Enterprise verso uno dei tanti mondi possibili, così
oggi i media, ed in particolare la televisione, frammentano lo spazio
ampliando l’accesso alle risorse simboliche, ma nel contempo costruiscono
quei mondi comuni la cui appartenenza è garantita da simboli condivisi fra
assenti. Centrale e necessaria diviene allora la manutenzione
della comunità virtuale, che pur non fruendo più della relazione vis-a-vis,
tuttavia si serve del rituale come mastice relazionale. Esso si manifesta
in termini di interiorità ed esteriorità, contribuendo a cementare e
rafforzare il gruppo attraverso il coinvolgimento emozionale. Come dice tuttavia Castells i legami che si
instaurano fra l’”io-centrato” nella rete e gli altri “io-centrati“
(individualizzazione e globalizzazione vanno di pari passo secondo quanto
dice Beck)) non si caratterizzano per essere deboli ed anonimi, tipici
della nascente società industriale di massa –così come li caratterizza
Tonnies evidenziando il processo della dissoluzione delle forme
comunitarie tradizionali-, ma per essere non irrilevanti. Quindi il senso
comune virtuale si connota di una reticolazione di rapporto che fornisce
socialità, supporto psicologico, informazione, senso di appartenenza ed
identità sociale. Nascono così quelle sfere pubbliche e diasporiche (Appadurai),
che non caratterizzano solo il flusso migratorio, i cosiddetti
etno-escapes, ma che trasferiscono nella dimensione delle comunità
virtuali una convergenza di interessi e valori fra gruppi di individui. La limitatezza di comunità in tal modo strutturate è
determinata, si può dire, dalla mancanza della fisicità e della
temporalità, che invece sono caratteristiche non solo peculiari ma anche
irrinunciabili per la costruzione di relazioni stabili. I media attraverso
il tasto “Canc” del PC o il tasto “spegni” del telecomando volgono la
compassione in simpatia, parole di identico etimo ma di significato
profondamente diverso. Nihil est in intellectu quod prius
non fuerit in sensu. Tuttavia se la volontà del soggetto non va
oltre l’oggetto dell’affettività –leggiamo con Aristotele nell’Etica a
Nicomaco- se questi non ama secondo ragione ma solo secondo i sensi, tale
volere non avrà per oggetto la persona ed il vero bene (la virtù)
dell’individuo amato. Ed è sempre lo stagirita a suggerire l’ideale suggello della presente riflessione nell’Etica Eudemia, “Amare è trattare l’oggetto dell’amore in quanto amico, per esser quello che è e non in quanto musico (bene piacevole) o medico (bene utile). Per questo motivo il piacere dell’amicizia deriva dall’amico in quanto tale: il suo amico lo ama per se stesso e non per un’altra cosa.”
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