Popolarismo Vs. Populismo
di Flavio Felice e Maurizio Serio
Il termine "populismo" presenta a tutta evidenza una stretta parentela col termine "popolarismo", per via della comune radice linguistica: "popolo". Sul piano semantico però questa affinità si rivela falsa, giacché il "popolo" del populismo è ben diverso da quello del popolarismo. Spacciare l’uno per l’altro può essere una più o meno astuta operazione di comunicazione politica, che rivela però tutti i suoi limiti in sede di impostazione teorica così come di verifica empirica. Proviamo allora ad individuare un nocciolo duro del fenomeno populismo, che possa assumere varianti di tipo hard o di tipo soft.
Il populismo è una matrice politica, tipica delle fasi di modernizzazione, che può operare sia in contesti democratici che in regimi autoritari; rispettivamente, per definire l’opposizione alle degenerazioni dei primi o per fornire il sostrato simbolico alle azioni di governo dei secondi. Pur adottando uno stile politico aggressivo e autoritario, nelle sue manifestazioni anti-establishment o nella difesa delle proprie posizioni, esso solitamente non va al di là della violenza verbale.
Dal punto di vista ideologico, il populismo non è necessariamente conservatore, bensì si manifesta piuttosto riformista, quando non rivoluzionario. Invero, esso si pone come un superamento della democrazia, perché mira precipuamente a sovvertire le basi della rappresentanza, sostituendola con il principio di identità, nel senso che conferisce il primato alla rassomiglianza e alla similitudine fra governanti (leader) e governati (popolo). Da questo discendono due aspetti molto importanti: la concezione della leadership, che mira all’identificazione fra il capo e il popolo, seppure in termini di aspirazioni, e la concezione dello stesso popolo, inteso come comunità organica coesa, tale da confinare ogni alterità politica dietro la categoria discriminante di "non-popolo".
Ebbene, sostanzialmente diversa la nozione di "popolarismo", con la quale ci riferiamo alla dottrina politica ed economica elaborata e attuata da Luigi Sturzo col suo Partito Popolare (1919) e, durante il suo ventennale esilio, attraverso quel particolare esperimento associativo che fu il People and Freedom Group, fondato a Londra nel 1936 da un gruppo di giovani, d’accordo con il sacerdote di Caltagirone. Scriveva Sturzo nella lettera di presentazione di tale associazione: "Popolo e libertà è il motto di Savonarola; popolo significa non solo la classe lavoratrice ma l’intera cittadinanza, perché tutti devono godere della libertà e partecipare al governo. Popolo significa anche democrazia, ma la democrazia senza libertà significherebbe tirannia, proprio come la libertà senza democrazia diventerebbe libertà soltanto per alcune classi privilegiate, mai dell’intero popolo".
Nella prospettiva sturziana, non vi è spazio per quel populismo contemporaneo (e nostrano) in cui il leader è convinto e pretende di incarnare il popolo, né per una nozione di popolo organicistica: l’attributo "popolare" sta ad indicare piuttosto il metodo della partecipazione alla vita civile. Per il personalista Sturzo, in sintonia anche con la visione liberale tipica della teoria "ordoliberale" di W. Eucken, solo la persona pensa, agisce, soffre e sceglie, mentre i concetti collettivi quali "stato", "società", "classe" non sono altro che strumenti semantici ausiliari che consentono la comunicazione, ma non rappresentano realtà terze (ipostatizzazioni) rispetto alle parti che li compongono: le ragioni delle parti (le persone) contano più delle ragioni della loro somma (gli stati, o i partiti).
La stessa scelta di Sturzo di chiamare il proprio partito "popolare" e non "del popolo" è emblematica di come egli intendesse il ruolo del partito nel contesto democratico: come uno strumento di partecipazione. Si rifletta sul fatto che affermare che il proprio partito rappresenti "il Popolo" significa precludere una legittimità "popolare" a tutti coloro che non si riconoscono in quel partito: si può finire (e si finisce) per pretendere di rappresentare il discrimine tra "il popolo" e "il non-popolo". Per Sturzo, al contrario, l’essere "popolare" o "democratico" è un attributo e non la sostanza. Un partito può essere popolare (cioè non elitario), democratico (ossia non autocratico), ma solo pretenziosamente può definirsi "del popolo", ovvero "della democrazia".
Certo, il compito di un partito è chiaro: rappresentare delle istanze di parte, magari formulate in un programma o in una carta di valori democraticamente votata, sulle quali cercare di raggiungere il massimo consenso con il minimo sacrificio delle proprie posizioni. Ma qualora esso pretendesse di incarnare la totalità delle opzioni politiche esperibili sulla base di un principio maggioritario autoritario, cioè mal inteso, farebbe del popolo un mero instrumentum regni e non il protagonista legittimo della vita democratica, in cui il leader è figura transeunte, per quanto eccezionale o significativa.
Il termine "populismo" presenta a tutta evidenza una stretta parentela col termine "popolarismo", per via della comune radice linguistica: "popolo". Sul piano semantico però questa affinità si rivela falsa, giacché il "popolo" del populismo è ben diverso da quello del popolarismo. Spacciare l’uno per l’altro può essere una più o meno astuta operazione di comunicazione politica, che rivela però tutti i suoi limiti in sede di impostazione teorica così come di verifica empirica. Proviamo allora ad individuare un nocciolo duro del fenomeno populismo, che possa assumere varianti di tipo hard o di tipo soft.
Il populismo è una matrice politica, tipica delle fasi di modernizzazione, che può operare sia in contesti democratici che in regimi autoritari; rispettivamente, per definire l’opposizione alle degenerazioni dei primi o per fornire il sostrato simbolico alle azioni di governo dei secondi. Pur adottando uno stile politico aggressivo e autoritario, nelle sue manifestazioni anti-establishment o nella difesa delle proprie posizioni, esso solitamente non va al di là della violenza verbale.
Dal punto di vista ideologico, il populismo non è necessariamente conservatore, bensì si manifesta piuttosto riformista, quando non rivoluzionario. Invero, esso si pone come un superamento della democrazia, perché mira precipuamente a sovvertire le basi della rappresentanza, sostituendola con il principio di identità, nel senso che conferisce il primato alla rassomiglianza e alla similitudine fra governanti (leader) e governati (popolo). Da questo discendono due aspetti molto importanti: la concezione della leadership, che mira all’identificazione fra il capo e il popolo, seppure in termini di aspirazioni, e la concezione dello stesso popolo, inteso come comunità organica coesa, tale da confinare ogni alterità politica dietro la categoria discriminante di "non-popolo".
Ebbene, sostanzialmente diversa la nozione di "popolarismo", con la quale ci riferiamo alla dottrina politica ed economica elaborata e attuata da Luigi Sturzo col suo Partito Popolare (1919) e, durante il suo ventennale esilio, attraverso quel particolare esperimento associativo che fu il People and Freedom Group, fondato a Londra nel 1936 da un gruppo di giovani, d’accordo con il sacerdote di Caltagirone. Scriveva Sturzo nella lettera di presentazione di tale associazione: "Popolo e libertà è il motto di Savonarola; popolo significa non solo la classe lavoratrice ma l’intera cittadinanza, perché tutti devono godere della libertà e partecipare al governo. Popolo significa anche democrazia, ma la democrazia senza libertà significherebbe tirannia, proprio come la libertà senza democrazia diventerebbe libertà soltanto per alcune classi privilegiate, mai dell’intero popolo".
Nella prospettiva sturziana, non vi è spazio per quel populismo contemporaneo (e nostrano) in cui il leader è convinto e pretende di incarnare il popolo, né per una nozione di popolo organicistica: l’attributo "popolare" sta ad indicare piuttosto il metodo della partecipazione alla vita civile. Per il personalista Sturzo, in sintonia anche con la visione liberale tipica della teoria "ordoliberale" di W. Eucken, solo la persona pensa, agisce, soffre e sceglie, mentre i concetti collettivi quali "stato", "società", "classe" non sono altro che strumenti semantici ausiliari che consentono la comunicazione, ma non rappresentano realtà terze (ipostatizzazioni) rispetto alle parti che li compongono: le ragioni delle parti (le persone) contano più delle ragioni della loro somma (gli stati, o i partiti).
La stessa scelta di Sturzo di chiamare il proprio partito "popolare" e non "del popolo" è emblematica di come egli intendesse il ruolo del partito nel contesto democratico: come uno strumento di partecipazione. Si rifletta sul fatto che affermare che il proprio partito rappresenti "il Popolo" significa precludere una legittimità "popolare" a tutti coloro che non si riconoscono in quel partito: si può finire (e si finisce) per pretendere di rappresentare il discrimine tra "il popolo" e "il non-popolo". Per Sturzo, al contrario, l’essere "popolare" o "democratico" è un attributo e non la sostanza. Un partito può essere popolare (cioè non elitario), democratico (ossia non autocratico), ma solo pretenziosamente può definirsi "del popolo", ovvero "della democrazia".
Certo, il compito di un partito è chiaro: rappresentare delle istanze di parte, magari formulate in un programma o in una carta di valori democraticamente votata, sulle quali cercare di raggiungere il massimo consenso con il minimo sacrificio delle proprie posizioni. Ma qualora esso pretendesse di incarnare la totalità delle opzioni politiche esperibili sulla base di un principio maggioritario autoritario, cioè mal inteso, farebbe del popolo un mero instrumentum regni e non il protagonista legittimo della vita democratica, in cui il leader è figura transeunte, per quanto eccezionale o significativa.